17 giugno 2011

Mondo globale. Secondo atto.

Mostra il bel petto le sue nevi ignude,
onde il foco d'Amor si nutre e desta.
Parte appar de le mamme acerbe e crude,
parte altrui ne ricopre invida vesta:
invida, ma s'a gli occhi il varco chiude,
l'amoroso pensier già non arresta,
che non ben pago di bellezza esterna
negli occulti secreti anco s'interna.


Vancouver, 15 giugno 2011

13 giugno 2011

Italia mia...

Che il referendum abbia cancellato l’incerta possibilità che il nucleare prendesse piede in Italia è un bene. Anzitutto è un bene per il premier; diciamo come stanno le cose: il nucleare il premier l’aveva lanciato solo a chiacchiere. Com’è nel suo stile. C’era l’idea, un vago sentore del tempo necessario a produrre l’impresa, cioè vent’anni, cioè una vita. Non erano state individuate le città vicine alle centrali, i campi da espropriare, i siti dove “sistemare” le pericolosissime scorie radioattive, le strade e le ferrovie lungo le quali l’uranio sarebbe stato trasportato e consegnato, l’organizzazione e le mani militari e della sicurezza che avrebbero necessariamente presidiato ogni fase della presunta produzione di energia. Insomma il governo del premier il nucleare l’aveva “fatto” come molte altre cose: chiacchiere, bugie e slogan. Cioè ZERO.
In ogni caso le pochissime centrali, in questo nebuloso e pericoloso progetto, avrebbero avuto un impatto assai scarso sul fabbisogno energetico nazionale: pochi punti in percentuale.
Infine, se solo avesse diramato la lista delle città coinvolte con le centrali nucleari sarebbero partite le rivolte, i blocchi, le moratorie, i progetti rivisti a data da destinarsi… Si sa come succede: magari siamo d’accordo… ma mai vicino casa nostra...
E poi se i tempi sulla carta erano ventennali figurarsi nella realtà: sarebbe passato mezzo secolo. Basta farsi un giro sulla Salerno Reggio Calabria o dare un’occhiate alle splendide incompiute di tutta Italia per rendersi conto che, referendum a parte, il progetto nucleare si sarebbe arenato ben presto.
E poi chi avrebbe voluto un bel reattore nucleare con i suoi effluvi cancerogeni accanto o vicino casa propria? In 30 anni di insegnamento ho sempre sentito genitori che dicono “ dovete bocciarli senza pietà!!!”, ma i figli “da bocciare!!!” sono sempre quelli degli altri perché quando dico ”in effetti suo figlio…”, “ma come professore, non mi dica, l’aiuti la prego, per favore, ma che mi sta dicendo, suvvia…”.
Che fortuna il premier: si è tolto un bel problema, non sapeva proprio come procedere, il suo governo non è stato in grado neanche di sistemare i residui della centrale di Montalto, quella di 36 anni fa.
E poi reattori nucleari in una terra fortemente sismica e montuosa come l’Italia? Ma per piacere!
Che fortuna anche per noi italiani perché l’assenza del nucleare da oggi in poi deve trasformarsi in un orgoglio nuovo. Gli stranieri devono essere invitati a visitare l’Italia come una terra unica al mondo non solo per le sue straordinarie bellezze, ma anche perché non gli capiterà mai quello che potrebbe capitargli in un’altra nazione del mondo: prendersi un bel tumore mangiando vegetali radioattivi o bevendo liquidi inquinati, come in Germania dove la birra ha un tasso elevatissimo di radioattività, ammalarsi per l’aria venefica che respirano come in Giappone, in Svezia o in Francia, fare una foto e scoprire che in fondo al panorama c’è una orrida produzione di uranio attivo con i suoi fumi grigi.
L’occasione unica che ora ha l’Italia è quella di rilanciare la sua immagine di terra incontaminata e meravigliosa: unica al mondo!
E’ l’ora che si capisca che i cinesi possono copiare auto, calzature, macchine e frigoriferi, ma non potranno mai copiare lo Stivale, le meravigliose Alpi a Nord, il mare di Sicilia a Sud, le acque turchesi della Sardegna a ovest, il tacco pugliese con i suoi ulivi secolari e il mare verde smeraldo a est. Non potranno imitare gli Appennini con le nostre cittadine incastonate come perle di roccia su creste montane di inusitata bellezza, la distesa delle verdi colline che come campi da golf scivolano da Toscana, Umbria e Marche, tra un calanco e l’altro, verso la sagoma del Monte Conero e s’allungano poi verso più dolci distese fino alle fiorenti pianure del Nord.
Il paesaggio italiano deve tornare ad essere non solo il nostro legittimo e fondato orgoglio, ma anche l’occasione irripetibile del nostro rilancio economico.
La bellezza d’Italia è una risorsa economica inestimabile.
Dobbiamo proteggerla come il più prezioso dei santuari.
Come la verginità di un antico tempio sacro.
Venerarla non a chiacchiere, ma con i fatti.
Gli architetti devono smetterla di pensare ai soldi legati a basse prestazioni professionali, ma devono ritrovare il gusto e la passione italiana delle cose belle, equilibrate, di quella semplicità armoniosa che è spesso bellezza.
L'Italia che ha avuto in Biagio Rossetti il primo urbanista della storia mondiale nella Ferrara degli Estensi a fine '400, deve riprogrammare lo sviluppo dei suoi centri urbani, valorizzare gli spazi, ricostruire la cultura del bello nei centri e nelle periferie.
I contadini devono rendersi conto che non si costruisce abusivamente, non si piantano alberi errati per il nostro territorio, non si usano diserbanti che, portati a valle dalla pioggia, uccidono i filari di querce secolari e i boschi.
Gli amministratori devono pensare con orgoglio al bene pubblico e alla salvaguardia del paesaggio. Le antenne, i ripetitori, gli impianti industriali, i capannoni vanno fatti dove non disturbano il più prezioso dei beni: il nostro paesaggio, la bellezza d’Italia.
Gli industriali si prendano le loro responsabilità: sono 20 anni che fanno speculazioni finanziarie e si mettono d’accordo col premier monopolista.
Ora: che investano sul valore aggiunto da produrre in Italia, sul Made in Italy, su un paese che ha ancora voglia di riprendere la corsa, il Rinascimento, la riscossa.
Si recuperino i nostri marchi, le industrie chiave, i nostri tesori culturali e artistici, si investa sulla nostra cultura, si sviluppi la creatività d'impresa.
Si salvi il nostro patrimonio architettonico.
Si ritrovi il gusto italiano per il lavoro fatto bene, il mattone ben tagliato, il marmo, il legno e la pietra lavorati a regola d’arte, il vetro e il ferro forgiati come solo da noi.
L’Italia che ha più artigiani di tutta Europa, l’Italia che ha costruito pievi e castelli, cattedrali e torri, fortilizi e palazzi delle feste deve riscoprire la sua vocazione al bello e radicarla nuovamente al territorio, al piano regolatore intelligente, alla gestione accurata e prudente delle sue risorse naturali.
Che si rilanci l’energia idroelettrica: abbiamo una geografia fatta apposta.
Senza l’idroelettrico le rinnovabili non basteranno.
Che si facciano subito piani energetici nazionali e regionali che proteggano il territorio dagli scempi, dai condoni disonesti, dalle prescrizioni per scadenza dei termini.
C’è una nuova maggioranza in Italia: che il premier ritorni ad Arcore con le sue "escort" e lasci per sempre l’Italia agli italiani che ogni giorno lavorano con l'orgoglio di ricostruire il nostro Bel Paese.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

9 giugno 2011

Il mondo globale.
Prima parte.

La popolazione del pianeta oggi è di sette miliardi di persone. Un miliardo è mille milioni. Provate a contare questo numero: settemila milioni di volte.
Ora moltiplicate questo numero per la quantità di cibo necessario ad ognuno: milioni e milioni di tonnellate di cibo ogni giorno.
Fate la stessa operazione con la quantità di rifiuti organici e di immondizia che scarichiamo ogni giorno, ogni mese, ogni anno sul nostro povero pianeta.
La popolazione cresce ogni giorno di 220.000 persone.
Cioè 6 milioni e seicentosessantamila persone al mese.
Cioè più di 79 milioni di persone l’anno.
Come se ogni anno ci fossero un’Italia e una Romania intere in più da sfamare, vestire, crescere, istruire, assistere e governare.
Nel 2050 saremo nove miliardi e mezzo di persone, due miliardi e mezzo più di adesso.
Nel 2050 ci saranno almeno tre miliardi (cioè “tremila milioni”) di persone che vivranno con meno di due dollari al giorno, cioè meno di un euro e 40 centesimi. Faranno la fame, non avranno denaro per l’istruzione dei propri figli, né medicine, né casa, cercheranno di emigrare tutti per non morire.
Tre miliardi…
Si calcola che per sfamare a livello di base un milione di persone siano necessari 40.000 ettari di terra. Il World Earth Institute riferisce che per produrre il cibo necessario ogni giorno ad ognuno di noi sono necessari duemila litri d’acqua. Ogni giorno a testa 2.000 litri.
La pioggia non basta, a volte non piove proprio, e ogni contadino sa quanta acqua impiega ogni stagione per il suo orto, per il frutteto, per il campo di grano.
Anche la terra non basta. E’ stata impoverita dal suo sfruttamento intensivo, speculativo, e dall’uso dissennato dei diserbanti, i veleni con cui i contadini irresponsabili si liberano sbrigativamente delle erbacce prima delle semine. Gli olii di semi, il riso e il grano prodotti in campi diserbati e avvelenati arrecheranno malattie alle popolazioni e alzeranno il costo della vita per il prezzo proibitivo delle medicine oltre ad aumentare i costi sociali della salute pubblica.
Diffondere e seguire i criteri di uno sviluppo ecosostenibile non è solo bello: è necessario per la sopravvivenza della nostra specie umana.
Nonostante i grandi raccolti di Russia, India e Ucraina, la produzione agricola mondiale rimane stabile e non cresce.
Inoltre, specie in Africa, molte terre sono state sottratte all’uso agricolo e sono state destinate alla produzione di biocarburanti per auto. Poiché la grande massa delle auto è nel mondo ricco è come se togliessimo il pane ai poveri per fare il pieno di carburante ai ricchi.
In pratica quando qualcuno va in macchina per andare a cena fuori in un bel ristorante nello stesso istante un centinaio di persone in Africa non ha niente da mettere in bocca per riempire la pancia…

Paolo Giunta La Spada

(continua)

7 giugno 2011

Unità d’Italia. Parte quarta.


Conosco il parroco di una cittadina delle Marche: è un amico, un uomo mite e buono, un sacerdote che crede nella sua missione. Mi racconta una storia. Ve la passo più o meno come lui me l’ha raccontata:
“ qualche tempo fa è venuto in parrocchia, mi dice, un gruppo di giovani marocchini, mussulmani, tutti figli di lavoratori “extracomunitari” della zona o lavoratori essi stessi. Mi chiedono di usare il campo di calcetto la sera. Spiego che non ci sono problemi, il campo è per tutta la comunità, basta che alla fine dell’uso le luci del campo siano spente. I giovani ringraziano e se ne vanno. Qualche giorno dopo tornano e giocano una partita, li sento parlare e strillare in italiano. Finito di giocare spengono le luci e passano a ringraziarmi, si scusano più volte per aver fatto confusione con le loro urla. Non finiscono di ringraziare.
Dico, non c’è di che, poi dopo che sono andati via controllo che le luci siano spente, dò un’occhiata agli spogliatoi: li hanno lasciati puliti e in ordine.
Nello stesso periodo arriva anche un gruppo di giovani italiani della zona: chiedono di usare il campo la sera. Non ci sono problemi, ci mancherebbe, siete benvenuti, il campo è a disposizione di tutti, basta che spegnete la luce dopo aver giocato.
Poco tempo dopo i giovani italiani tornano a giocare. Non ho ancora finito le funzioni religiose, ma si sentono le urla dal campo: turpiloquio, parolacce, una sfilza di orribili bestemmie. Finito in chiesa mi reco negli spogliatoi, i ragazzi si stanno preparando per andar via. Dico: siete i benvenuti, ma non è possibile che accanto al tempio di Dio si bestemmi il Signore, si bestemmi la Madonna. Ho sentito, anche i bambini e le persone in chiesa hanno sentito. Così non va bene. Penso che ora mi chiederanno scusa, ma non faccio in tempo a terminare il discorso che uno dice senza neanche guardarmi “Ah, se questo deve rompere il c… qui non ce venimo più”; un altro, sempre senza rispondermi: “io parlo come c… mi pare”; un paio continuano a bestemmiare ad alta voce, nessuno saluta, nessuno si scusa. Se ne vanno lasciando gli spogliatoi sporchi e in disordine.
I ragazzi marocchini invece sono già tornati un paio di volte. Prima di andarsene vengono sempre a ringraziare e a salutare. Poi se ne vanno a piedi o su vecchie utilitarie”.
Questa è l'Italia di oggi.

Paolo Giunta La Spada
12 e 13 giugno 2011

"Io sono un elettore che fa sempre il suo dovere» ha detto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a proposito dei referendum. Io la penso come lui.
Il 12 e 13 giugno si va a votare.
Sì.