29 novembre 2018

Felpe senza tasche


C'era una volta un venditore di magliette e felpe.
Era di origine settentrionale.
Era bravo nelle chiacchiere e la gente che passava si fermava spesso ad ascoltarlo.
Tanti compravano le felpe e le magliette.
Il venditore era talmente bravo che molti compratori si facevano i selfie con lui.
Un giorno il venditore, per allargare il suo limitato orizzonte di vendite, si recò verso il Sud Italia.
Con sorpresa dei suoi amici del Nord, andò a Napoli, una città che aveva sempre odiato.
Si recò nel punto più adatto per vendere magliette e felpe: davanti allo stadio San Paolo affollato di tifosi che andavano alla partita.
Lì incontrò uno giovane napoletano che lavorava come steward allo stadio.
Lo steward gli diede consigli su come ingraziarsi i tifosi napoletani e lui ringraziò regalandogli una felpa.
Dentro lo stadio lo steward scoprì che la felpa era bucata e, finita la partita, tornò al venditore del Nord per dirglielo e farsela cambiare.
C'era una grande coda per comprare le felpe e lo steward pensò che il venditore era bravo a farsi amici i napoletani.
Quando gli disse della felpa bucata il venditore rispose che non l'aveva bucata lui, ma quelli che avevano avuto la felpa prima di lui.
Lo steward rise e pensò quasi di mettersi in società con un uomo così abile nella vendita e bravo nelle battute.
Si licenziò da steward allo stadio e andò a Genova a trovare un amico che, anche lui, gli aveva offerto un lavoro: come attore.
Passarono anni e il vecchio amico di Genova insegnò al giovane di Napoli a recitare.
Soprattutto, diceva il maestro di recitazione, non devi far capire agli altri quando non capisci una questione, la gente non ha interesse a conoscere la verità, basta fargli credere che quello che dici tu sia la verità. 
Da quel giorno il giovane dei dintorni di Napoli ricontattò il venditore di felpe e magliette proveniente dal Nord e si mise in società con lui.
Le vendite andavano benissimo.
Inventarono un nuovo tipo di felpe senza tasche e senza chiusure lampo.
Quando gli italiani chiedevano perché non c'erano tasche loro dicevano che era colpa di quelli di prima che le tasche non le facevano più.
Quando chiedevano perché quelli di prima non le facevano più, dicevano che era colpa dell'Europa.
La gente rimaneva un po' stranita, ma comprava lo stesso.
Col tempo gli italiani si vestirono tutti allo stesso modo, le stesse magliette, la stessa felpa.

Ora, da un po' di tempo, chi fa domande perde il lavoro, l'Italia ha cambiato nome e Napoli non si chiama più Napoli; e se uno pronuncia l'espressione "Roma capitale" gli fanno la multa.
I selfie non se li fa più nessuno.
La scuola insegna poche necessarie nozioni.
La storia e la letteratura sono materie vietate.
Se ti beccano con una vecchia antologia di italiano rischi la galera.
Le banche, inoltre, sono tutte chiuse per debiti.
Ora nessuno si lamenta più delle felpe senza tasche perché nessuno ha soldi da mettere in tasca.
L'Europa è lontana.

Molto lontana.

21 novembre 2018

Amo l'Italia


Si può "pretendere" che il ministro Salvini la smetta di dire cose dannose per l'Italia come "ora aspetto le lettera di Babbo Natale" in riferimento alla lettera dell'Unione europea? 
Si può pretendere che chi è riuscito in pochissimi mesi a distruggere l'immagine dell'Italia nel mondo, e a inguaiarne l'economia, e ad avvelenare le nostre relazioni civili, se ne vada a casa? 
Quanto al voto ricordo che alle elezioni del marzo 1933 il partito di Hitler prese il 43,9%. 
Poi sappiamo tutti come è andata. 
Mio padre, tutta la vita con profondo orgoglio nell'Arma dei Carabinieri, ha combattuto tedeschi e fascisti per regalarci un'Italia prospera e libera. 
Indietro io non torno. Amo l'Italia e non amo gli imbroglioni.

3 novembre 2018

4 novembre


L'Italia dichiarò guerra all'Austria il 23 maggio del 1915.
Non c'era alcuna ragione che giustificasse l'ingresso dell'Italia nel conflitto viste le trattative del governo con Vienna, e le concrete possibilità di accordo con Londra: poteva essere sfruttata la neutralità ottenendo non solo Trento, Trieste, e le "terre irredente", ma anche tutti i vantaggi che sarebbero derivati da una condizione interna di pace.
Prevalse, purtroppo, l'idea della guerra.
Al censimento del 1911 la popolazione italiana ammontava a 35.845.048 residenti e a 34.671.377 presenti di fatto. 
Tra il 1915 e il 1918 vennero chiamati alle armi 5.903.140 italiani; di questi 4.200.000 furono impiegati in prima linea.
I morti in guerra o per cause di guerra furono, considerando le diverse fonti, tra 680.000  e 709.000.
I feriti furono 950.000 - 1.050.000;  di questi 463.000 riportarono menomazioni permanenti.
I prigionieri italiani furono circa 600.000, metà dei quali catturati dagli austro-tedeschi dopo la disfatta di Caporetto del 24 ottobre 1917.
100.000 italiani morirono durante la prigionia per le epidemie infettive presenti nei campi, ma soprattutto di fame, a causa del criminale ordine imposto dal governo italiano di bloccare i pacchi delle famiglie ai figli prigionieri, indicati come possibili sospetti di vigliaccheria.
La cosiddetta battaglia finale a Vittorio Veneto fu in realtà la constatazione della resa, dello sbando e del crollo irreversibile dell'impero austro-ungarico, spazzato dalle divisioni delle insorgenti nazionalità che lo avevano composto per secoli.
Se gli italiani dovessero scegliere una battaglia decisiva per le sorti della Patria, e rappresentativa della ritrovata unità nazionale nell'amara tragedia del conflitto, questa dovrebbe essere senz'altro la battaglia del Piave, e non di Vittorio Veneto.
La prima guerra mondiale che, ancor oggi, viene definita come "quarta guerra d'indipendenza italiana", fu un massacro inutile e drammatico che determinò il peggiorare delle condizioni economiche e sociali d'Italia e favorì il successivo avvento della dittatura.