24 febbraio 2011

A Sud dell’Italia

“Se non si studia l’Africa di oggi e non si considerano le guerre africane non si capisce l’emigrazione. Se non si conosce l’emigrazione non è possibile governarla. Integrazione, cittadinanza, repressione della criminalità, rilascio dei visti, respingimenti: sono temi che, se non si studia la realtà, non possono essere considerati con serietà, sono solo spot elettorali. Oggi anche Gesù, da straniero quale era, sarebbe respinto, cacciato, mandato indietro. L’Europa ha colonizzato l’Africa, l’ha sfruttata, schiavizzata ed erosa nelle sue risorse. Oggi appare come colui che non vuole sapere cosa succede al vicino che sente tutti i giorni morire, fino a quando la casa del vicino brucia e scoppia anche la sua. Il mondo globale è un’opportunità per fare business e arricchirsi, ma non ha cambiato la sorte di miliardi di poveri del pianeta. In questi anni, inoltre, siamo silenziosamente passati dalla “guerra alla povertà” alla “guerra ai poveri” condotta su larga scala”.
Scrivevo queste parole un anno fa: potete trovare il saggio completo al seguente indirizzo:
http://paologls.blogspot.com/2010/02/le-terre-di-nessuno-la-teoria-delle.html

Oggi, puntualmente, i media di tutti i paesi del mondo occidentale sono sorpresi per le “rivoluzioni” del mondo arabo e incapaci di dare spiegazioni.

E’ grave che dell’Africa, un continente grande 300 volte l’Italia a 20 minuti di aliscafo dalle nostre coste, gli italiani non sappiano nulla o quasi nulla.
Del resto gli italiani non studiano la loro storia, figurarsi se studiano la storia degli altri popoli.
Il ministro Frattini si è recato recentemente, su ordine del premier, in una sperduta isola dei Caraibi per fabbricare un dossier contro il Presidente della Camera Gianfranco Fini. Avrebbe fatto meglio ad aggiornarsi sulle condizioni di vita dei nostri vicini di casa, Tunisia, Libia ed Egitto, e sulla credibilità dei leader al potere. Fino a pochissimi giorni fa il ministro e gli altri esponenti di governo dicevano agli italiani che l’Italia sarebbe stata al riparo dalle possibili ondate migratorie grazie agli accordi Italia-Libia e ai miliardi regalati al dittatore libico. Che gli accordi fossero un esempio di spreco del denaro pubblico e di mediocre politica estera si era capito quando i pescatori italiani erano stati presi a colpi di mitra dai militari libici su un battello pagato dai contribuenti italiani:
http://paologls.blogspot.com/2010/10/storie-di-mari-e-migranti.html

Il sistema “occidentale” delle informazioni non funziona più.
Non funziona l’informazione finanziaria dove i frequenti conflitti di interesse hanno reso le opinioni di Moody’s, Standard & Poors e Fitch Ratings sempre meno credibili. Gli USA e il Regno Unito che fino a qualche decennio fa apparivano come le Vestali dell’ordine internazionale, tanto da decidere guerre senza ascoltare l’opinione dell’ONU, oggi non sono neanche in grado di fare previsioni sul corto periodo. L’Economist, la prestigiosa rivista britannica, scriveva sul numero “The World in 2011”, uscito a fine 2010, che la Libia sarebbe stata al 4% di sviluppo annuale, che il potere di Gheddafi non era in discussione, che avrebbe compiuto senza alcun problema il quarantunesimo anno al potere, che a lui succederà il figlio, ma solo nei prossimi anni, che la Libia forte dei massicci guadagni ottenuti grazie alle vendite di petrolio sarebbe stata protagonista sui mercati e avrebbe comprato e investito con successo in tutta l’Africa.
Anche l’intelligence angloamericana è in crisi: la CIA passa da un fallimento all’altro. Dopo la figuraccia sulle “armi di distruzione di massa” in Irak, mai esistite, ma inventate per permettere al Presidente Bush di dichiarare la guerra all’Irak, la CIA non è stata in grado di capire che cosa sta succedendo in Afghanistan, in Iran e in molti paesi arabi e africani. Le continue dimissioni di dirigenti di primo piano all’interno della CIA sono state proporzionali agli insuccessi e agli smacchi subiti prima dall’amministrazione Bush e oggi dall’amministrazione Obama. In Afghanistan gli americani hanno perso la guerra e le amministrazioni Bush e Obama non parlano più di vittoria, ma di “progress” o di “exit strategy”. Al Quaeda ha spostato i suoi centri di terrore in Pakistan e l’insorgenza islamica radicale è tornata minacciosa.

L’esultanza con cui molti in Italia hanno accolto le notizie provenienti dai paesi arabi, in particolare da Egitto e Libia, è sorprendente. La caduta di un dittatore non significa necessariamente l’inizio di una vita all’insegna della democrazia e dei diritti civili. Quando nel 1978 in Iran cadde il regime dello Scià molte furono le aspettative deluse dall’avvento di una dittatura teocratica spietata. Credere alla favola che con un colpo di bacchetta magica gli arabi stiano andando verso la democrazia è molto pericoloso. L’idea dei popoli coraggiosi che battono le dittature è densa di nuove speranze, ma so che il difficile di ogni rivoluzione viene il giorno dopo. Spero di sbagliarmi, ma temo di no: in diversi casi si tratta di trasformazioni dagli esiti molto incerti che possono creare instabilità nel Mediterraneo, nelle relazioni con Israele, nel mondo intero. Soprattutto in Libia, una società chiusa dove manca una autentica classe media, c’è da temere che gli imam islamici tradiscano i giovani che chiedono diritti civili, prendano il sopravvento, instaurino un regime islamico chiuso agli influssi esterni, appoggino Al Quaeda e la rete terroristica internazionale.

Il mondo occidentale, e in particolare il binomio USA-Regno Unito, ha gravissime responsabilità su quanto è successo e sta succedendo. Le due potenze hanno per 60 anni condizionato, influenzato, cambiato il corso degli eventi in ogni area del Medio Oriente e, in misura assai minore, del Nord Africa. Prima con un ruolo apertamente coloniale, imperialistico e aggressivo; poi, dopo la decolonizzazione, con una politica ambigua che finiva per sostenere molti regimi dittatoriali solo perché erano filo-occidentali. Un esempio è l’Egitto di Mubarak.
Non c’è mai stata, al di là delle dichiarazioni, una politica di autentico sostegno allo sviluppo democratico e liberale di quelle società e, vista la quantità dei nemici e dei problemi sul campo, non si è aperto molto spazio per tale politica.
L’intervento militare in Irak, con il suo carico di distruzioni, ha fornito un grande aiuto alla propaganda fondamentalista che ha ripreso forza in tutti i Paesi arabi.
In questi giorni l’apparato politico delle potenze occidentali sembra spiazzato e impotente: si attende di capire, con molta incertezza, chi possa vincere nei vari Paesi per poi cercare di ripristinare appoggi, complicità, riconoscimenti e alleanze. Il passaggio delle navi da guerra iraniane nel Canale di Suez è un segno premonitore di come il radicalismo islamico si stia preparando a trarre tutti i possibili vantaggi dalle crisi in atto nei Paesi arabi.

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