22 marzo 2011

Il Popolo Ponte


Unità d’Italia. Terza parte.

Il Popolo Ponte.

Una geografia unica.

Per capire quanto sia fondata l’idea dell’Italia nazione, ma anche per comprendere la sua specifica peculiarità e le differenze interne al suo territorio, partiamo dalla considerazione della sua geografia. E’ raro trovare nel pianeta un Paese così facilmente individuabile, così piccolo ma identificabile immediatamente nel mappamondo o nel planisfero dell’atlante di geografia. Lo “Stivale” è perfettamente distinguibile. E’ isolato dal resto dell’Europa da una catena montuosa straordinaria e imponente: le Alpi. Una cornice di montagne aguzze che per millenni furono difficilmente attraversabili e delimitarono fortemente gli spazi comunicativi della penisola. Quando si prende un aereo e si va a Zurigo si capisce l’Italia meglio che guardando un atlante. La divisione è netta: la spettacolare desolazione dei monti coperti da ghiacciai innevati ci parla di un altro mondo. Il ritorno in Italia è caratterizzato dai declivi delle sue montagne che scendono gradualmente alle verdi colline e alle dolci pianure: il confine è netto e non è solo un confine politico, ma fisico, aereo, biologico.

Il mare.

L’altro grande confine naturale d’Italia è costituito dal mare, un confine altrettanto imponente nella sua vastità. Nelle epoche più remote, quando i sistemi di navigazione erano all’inizio, costituiva un confine difficilmente attraversabile. Con lo sviluppo delle antiche civiltà del Vicino Oriente, del Nord Africa, e soprattutto col fiorire della Grecia classica, il mare divenne lo spazio ideale di vita delle popolazioni italiche sempre in contatto con altre culture. Le più alte forme di civiltà nascono sulle coste italiche con la sicura influenza della civiltà ellenica e mediterranea. Il “confine” del mare fu, nel corso della storia antica, molto più attraversato di quello alpino. La civiltà greca ebbe su Roma un’influenza straordinaria e fortemente pervasiva e il Mediterraneo antico ebbe per millenni una cultura dai tratti comuni assai più evoluta rispetto a quella dei popoli nord-europei dediti alla pastorizia e al nomadismo. Per secoli furono “incivili” nel senso letterale: non conoscevano la civitas e quando invasero Roma nel quinto secolo d. C. invece di usare le sue splendide case, le ville dotate di acqua corrente e le meravigliose terme, la distrussero. I Romani, che avevano fondato e costruito tutte le città italiane, quasi tutte le città europee e perfino molte delle città nordafricane e medio-orientali, li chiamavano barbari.
La bio-geografia e la storia antica della penisola italiana rendono evidenti alcuni aspetti importanti per capire l’identità degli italiani.

Divisi all’interno.

La montuosità della penisola ha diviso le popolazioni non solo sulle Alpi, ma ancora di più lungo la catena montuosa degli Appennini. Nell’epoca pre-romana e romana, per esempio, era più facile per un abitante del Lazio comunicare via mare con la costa della Sardegna, della Sicilia, o dell’Africa del Nord, che recarsi via terra sulla costa adriatica. La costruzione delle strade consolari, in particolare la Salaria e la Flaminia, con il loro percorso tortuoso, impervio e pericoloso per la possibilità di agguati e imboscate, cambiò di poco la condizione di popoli che erano divisi da alti monti e ripide valli, stretti valichi e lunghe creste di roccia. La divisione culturale degli italiani è il prodotto, oltre che delle esperienze vissute, di una geografia divisiva: genti che vivono in regioni diverse nel paesaggio e nel clima, nel suolo e nella vegetazione, che parlano lingue diverse, con tradizioni e interessi talora distanti, con mezzi di comunicazione e di trasporto difficili. La divisione però è varietà, la varietà è ricchezza.

Divisi dagli altri e uniti dall’”Isola” Italia.

Se si guarda la penisola su un atlante o dall’alto di un aereo si vede che l’Italia è isolata anche dal resto del mondo molto più di altre nazioni. I nostri confini non sono solo politici e non sono stati segnati solo sulle carte geografiche. Sono il prodotto di una storia millenaria celata in due barriere naturali imponenti e nette: le Alpi a Nord, il mare altrove. L’Italia è stata sempre la terra al di là delle Alpi per gli europei provenienti dal Nord e la terra al di là del mare per chi veniva da Sud. Comunque una terra lontana e diversa, nello spazio fisico e mentale. La nostra geografia è divisiva all’interno, ma unificante per la netta separazione che impone rispetto a tutti gli altri. Questa è l’unicità italiana. Tutti diversi: toscani, romagnoli, emiliani, siciliani, palermitani, catanesi, napoletani, romani, laziali, friulani, veneti, piemontesi, lombardi, bergamaschi, milanesi, torinesi, lucani, calabresi, pugliesi, baresi, salentini, liguri, umbri, marchigiani, molisani, abruzzesi, sardi, ecc. eppure tutti affratellati dalla comune differenza rispetto agli altri.

Il Popolo Ponte al centro del mondo.

La penisola assomiglia oltre che a uno “stivale” a una sorta di ponte tra Europa e Africa. Lo sanno bene gli emigrati che sbarcano sulle coste della Sicilia, della Puglia e della Calabria. Lo sa bene il ministro Maroni.
Piazzata al centro del Mediterraneo tra Europa, Africa e Asia l’Italia è un “centro” del mondo.
Non si può pensare che l’Italia sia più unita all’Europa di quanto non sia unita all’Africa. Il confine marino, pur costituito di una diversa sostanza fisica, è paragonabile come bordo di separazione a quello alpino. Oggi attraversare il Brennero in autostrada è facile come prendere un aliscafo e recarsi a Tunisi. I ponti ci sono per essere percorsi e l’Italia è stata in contatto, grazie alla sua natura biogeografica, con i più svariati popoli. L’italianità è anche il frutto di questa unicità di esperienze storiche. L’Italia è Greci ed Etruschi, Romani e “barbari”, Europa Africa e Oriente, Nord e Sud, Est e Ovest, Marco Polo e Cina, Svevi e Normanni, Francesi, Arabi e Aragonesi, Castigliani, Austriaci, Tedeschi e Americani, fino agli emigrati italiani sparsi nel mondo e agli immigrati stranieri.
Un “popolo ponte” è un artefice di comunicazione tra società diverse. E’ il più formidabile mediatore culturale. E’ un popolo che “sta in mezzo” a culture diverse e spesso opposte. Di tali culture elabora analisi e ipotesi interpretative e sviluppa sintesi utili alla sua vita e alla vita degli altri. Questo è splendido e fa capire perché l’Italia ha fondato per prima al mondo le università e le banche, perché chi ha scoperto le Americhe era italiano, perché l’Umanesimo è nato in Italia, perché il culto del bello e dell’utile sono nel nostro DNA da secoli e perché nella terra di Leonardo si nutrono intelligenza, buon senso, creatività, flessibilità e diplomazia.
I nostri peggiori difetti sono figli delle nostre migliori qualità: l’intelligenza confina con la furbizia, il buon senso diventa indisciplina, la flessibilità può trasformarsi in assenza di regole, la capacità diplomatica e relazionale condotta all’esasperazione diventa ambiguità e incertezza di vedute.
Come ogni “società ponte” l’Italia trae beneficio dal dialogo con gli altri e perfino da un certo livello di conflittualità: la vivacità culturale e l’apertura mentale sono sempre il viatico della libertà civile e della autentica democrazia.


Sottoposti a influssi continui e a costanti moti centripeti in casa e fuori rischiamo però di essere sempre in lotta con gli altri e con noi stessi come ai tempi di Pisa, Amalfi, Genova e Venezia. O come ai tempi di Dante, dei Gonzaga, di Cola di Rienzo, dei Visconti e degli Sforza, di Pisa e Firenze, dei Medici, dei Borgia, un principe contro l’altro, una torre contro l’altra, un campanile contro l’altro. Pronti a sostenere l’arrivo di eserciti stranieri pur di sconfiggere il nemico italiano.
Altre importanti nazioni europee come la Francia, la Spagna e il Regno Unito hanno conosciuto un processo di unificazione e centralizzazione statale già 4 o 5 secoli fa. Per l’Italia è stato diverso. L’Italia è sempre stata divisa, spezzettata, invasa da altre culture che l’hanno variamente influenzata e condizionata sia in senso positivo, sia in negativo. Anche la storia del popolo italiano è stata storia di città e tradizioni diverse che si sono unite o combattute a seconda delle epoche e delle contingenze. Oggi, impaurita dalla nuova ondata migratoria, l’Italia sta perdendo il carattere ecumenico e la vocazione alla mediazione culturale: si sta trasformando in una società chiusa, ostile, provinciale e paesana.

L’Italia non è solo biogeografia e guerre che hanno attraversato incessantemente il suo straziato corpo. L’idea di Italia ha origine in una cultura straordinaria che ha le sue basi nella classicità del mondo antico, nella cultura del Dolce Stil Novo, nell’evoluzione economica e sociale dei Comuni e nel potente fervore della rivoluzione umanistica e rinascimentale. Il Risorgimento non ha fatto altro che modernizzare un’idea di nazione che era già presente nonostante le divisioni e l’occupazione straniera. I giovani italiani del Risorgimento, incarcerati torturati e uccisi dagli austriaci che occupavano il suolo patrio, lottavano per il futuro. Il loro furore romantico avverso alla Restaurazione era il nostro futuro. Non dobbiamo mai smettere di ringraziarli.
“Quando un popolo è politicamente malato di solito ringiovanisce se stesso e ritrova alla fine lo spirito che aveva lentamente perduto per riscoprire e conservare la sua potenza. La civiltà deve le sue più alte conquiste proprio alle epoche di debolezza politica” scriveva Nietzsche nel 1878 in “Umano troppo umano”.
Foscolo, Leopardi, Confalonieri, Maroncelli, Mazzini, Garibaldi, De Sanctis, Nievo, D’Azeglio, Cattaneo, Pisacane, Verdi avevano l’angoscia che l’Italia fosse “ sì bella e perduta” come recita il Nabucco verdiano.
Il loro sgomento è oggi vivo e attuale in tutti noi.
Serve il nostro nuovo Risorgimento.
“Gli italiani aspettano sempre una storia del loro Risorgimento: una storia di ampio respiro; penetrata e animata di realtà; illuminata dal “senno del poi”, vale a dire dalla comprensione di quel che è l’Italia, nata da quello sforzo; una storia che non sia né elogio, né requisitoria, non ricerca di eroi da incorniciare per la patria galleria o di idoli da adorare come incarnazioni di verità assolute; una storia infine che, pur circoscrivendo, nella vita d’Europa e del mondo, l’Italia e, nell’Italia, una certa determinata epoca detta il Risorgimento, ci presenti poi quell’Italia parte di un tutto e piena dello spirito del mondo e nel Risorgimento ci faccia sentire, viva, presente ed operosa, la storia di vari secoli di vita italiana, quanti sono necessari per dar ragione di quel che il Risorgimento è stato e di quel che non è stato” scriveva Gioacchino Volpe nel 1922. Proprio quell’anno un re celebre per la sua viltà consegnava l’Italia alla dittatura.

Dopo la Liberazione dal fascismo, molti italiani erano restii a parlare di Patria e riluttanti a riprendere quel tricolore che s’era troppo confuso con le messe in scena del passato regime. Del resto le due grandi forze che dominavano la politica italiana dopo la seconda guerra mondiale erano entrambe “antiitaliane”. I comunisti che avevano dato il più grande e incisivo contributo alla lotta di liberazione, erano filosovietici, e prima di obbedire alla Patria ascoltavano l’opinione di Stalin. Fu così fino alla morte di Stalin nel 1953; continuò con Chruscev e Breznev e il Partito Comunista Italiano cambiò in parte tale impostazione solo grazie al segretario politico Enrico Berlinguer, e solo a partire dai fatti di Praga del 1968. I cattolici italiani erano sempre stati fedeli a un papato che aveva scomunicato e osteggiato l’Italia fin dalla sua nascita, aveva finanziato e armato il brigantaggio anti-italiano dopo l'unità, aveva denunciato al mondo la “violenza” del 20 settembre 1870 a Porta Pia con la presa di Roma da parte dei bersaglieri.
I cattolici si fidavano poco dei comunisti e dei liberali anche nel 1946, seguivano i suggerimenti politici del Vaticano, ascoltavano il Papa, preferivano l’autorità spirituale al diritto civile e alle esigenze sociali della nascente repubblica.
Inoltre gli italiani avevano subito il fascismo per 20 anni: quando si liberarono dalla dittatura scattò un diffuso antinazionalismo che era errato, ma in gran parte costituiva una comprensibile reazione al fanatismo fascista del ventennio, alle bugie, agli inganni e agli orrori perpetrati con la scusa dell’amore per la Patria. Si passò dalla “salvaguardia della razza” a un mal celato complesso di inferiorità nei confronti di altre nazioni.
Per 50 anni le Sinistre hanno avuto la colpa di sventolare la bandiera rossa piuttosto che il tricolore regalando il tema dell’amor di Patria alle manipolazioni nostalgiche della Destra.
Negli anni ’80 la Lega Nord ha iniziato a cavalcare il tema dell’antiitalianità con i ceti medi e la classe operaia del Nord devastati dalla crisi economica e dall’invadenza del fenomeno migratorio.
Tanti, di Destra e di Sinistra, del Sud e del Nord, contro l’Italia, quindi.
Ma l’Italia non è né di destra, né di sinistra: l'Italia è l'Italia.
Ipotesi: vista la scellerata politica del premier, interessato solo alle escort di Via Olgettina e alle sue aziende, viste le posizioni leghiste e le spinte divisive che vengono dall'interno stesso dell’attuale governo, considerate le carenze dell’attuale classe dirigente che non è capace di dirigere, è probabile che l’Italia si separi in 5 o 6 o 7 micro-nazioni come era fino a 150 anni fa.
Magari con una crisi di tipo yugoslavo: la guerra, gli attentati, l’economia distrutta, i titoli di stato delle micro-regioni che nessuno all’estero vorrà mai comprare.
C’è da mettere in guardia da un triste epilogo del genere.
C’è da salvare l’unità, la pace, la prosperità che abbiamo raggiunto in 150 anni.
Ma l’Italia non morirà mai.

Perché l’Italia è quella differenza senza la quale la civiltà del mondo non sarebbe ciò che è.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
PAOLO GIUNTA LA SPADA

(continua)


3 commenti:

Susanna ha detto...

Un'articolo interessante, breve e ricco di notizie chiare,
che riassumono la nostra storia. Grazie

paologls ha detto...

Si precisa che all'epoca di pubblicazione del presente post la funzione commenti non era attivata.

La funzione commenti è stata attivata a partire dal 1° gennaio 2012.

Giuseppe Maria Ficara ha detto...

Bell'articolo, un quadro completo della nostra identità geografica storica e culturale. Con l'appello ad una nuova rinascita, che comprenda.lo spirito di tutte quelle che l'hanno preceduta, dall'umanesimo al rinascimento fino al Risorgimento. La figura del Mazzini chitarrista e musicologo ci potrebbe ispirare. Bella l'idea del ponte, anche le sinapsi che il nostro cervello sviluppa sono dei ponti.