5 marzo 2024

 

6 marzo, Giornata europea dei Giusti

Per un’educazione alla pace basata sulla conoscenza storica

 

di Paolo Giunta La Spada

 

 

La Giornata europei dei Giusti è stata promossa nel 2012 dal Parlamento europeo per ricordare, nell’anniversario della morte di Moshe Bejski, “coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l'umanità e ai totalitarismi, considerando che il ricordo del bene è fondamentale nel processo dell'integrazione europea, perché insegna alle generazioni più giovani che chiunque può decidere di aiutare gli altri esseri umani”.

Quest’anno la Giornata europea dei Giusti capita a due anni dall’invasione russa dell’Ucraina e mentre, dopo il massacro del 7 ottobre 2023 contro la popolazione israeliana da parte dei terroristi di Hamas, infuria una guerra nella striscia di Gaza con un prezzo altissimo pagato non solo dai soldati che si affrontano, ma anche dalle inermi popolazioni civili. Lo stesso prezzo che soffrono le popolazioni ucraine sottoposte da più di due anni all’aggressione,  ai bombardamenti e agli attacchi degli invasori russi.

Nel mondo continuano a infuriare guerre e si fanno strada le politiche dell’odio che dividono i popoli e le società. Si infiltrano così, anche tra molti dei nostri giovani, forme di rassegnazione a un destino sempre più privo di sogni, senza futuro, ci si piega lentamente all’egoismo e al male, si diventa assuefatti all’indifferenza, si sceglie il disimpegno, il nichilismo, o ancor peggio, si rimette in sesto il vecchio linguaggio dell’odio.  

D’altro lato non serve, come va di moda oggi, limitarsi a invocare la pace, qualcosa che tutti dicono di volere, perfino i dittatori che sulle bugie costruiscono la loro carriera.

Volere, costruire e realizzare la pace è certamente il nostro obiettivo, ma non servono slogan così vaghi e generici se non si hanno competenze storiche e geopolitiche, se non si è al corrente delle dottrine e degli obiettivi dei singoli stati nazionali, se non si considera in concreto il quadro delle difficoltà.

Per molti, purtroppo, valgono solo i propri pregiudizi ideologici, politici e religiosi. E l’analfabetismo culturale dilagante peggiora la situazione.

Colpisce l’attenzione, inoltre, quando si vedono quelli che invocano la pace, ma  fomentando atti e usando toni che favoriscono nuove forme di disprezzo e discriminazione, di odio razzista e antisemita, di violenza ideologica, di nuova guerra.  

In molte società del mondo prevalgono sempre di più politiche reazionarie e autoritarie basate sulla propaganda, sull’occupazione e sul monopolio dei sistemi d’informazione, sull’uso di un populismo estremo che fa presa sui popoli lasciati volutamente nell’ignoranza, e costretti in molti paesi del pianeta a un dominio dello stato nella vita privata, con elezioni che obbligano a un solo leader politico da votare, con una sola religione da seguire e obbligatoria per tutti.

Nel mondo esistono dozzine di dittature di diversa natura: militari, ideologiche, o religiose. Poi esiste il mondo libero, il nostro mondo libero che, pur strapieno di tare, scandali e difetti, resta un autentico caposaldo di libertà al mondo, un’isola di pace, costituzionalmente sicura, un’oasi di pluralità culturale, democrazia, rispetto dei diritti.

Questo nostro mondo va difeso perché il rischio è che si indebolisca o scompaia quanto rimane nel pianeta della pace, della libertà, della pluralità ideologica e culturale, della democrazia, dei diritti delle persone e delle minoranze.

L’esperienza storica, anche del Novecento, lo insegna: i dittatori non sono per la pace e non ce la regaleranno mai. I dittatori impongono la loro violenza. Non potremo mai ottenere la pace da dittatori criminali che sostengono sistemi e pratiche ideologiche che hanno come traguardo di distruggere le società del mondo libero.

E’ difficile far ragionare i dittatori e non ne ho mai visto uno pentito, piuttosto li ho visti tutti giocare con la vita dei loro popoli e con la sorte del mondo intero.

Dittature e terrorismi non ci concederanno mai pace, né la concederanno ai loro stessi popoli che rischiano di rimanere asserviti; oppure di subire, se si ribellano, persecuzioni, prigionie, deportazioni e morte.

La pace potremo ottenerla solo se il nostro mondo libero diventa sempre più forte e diffuso, se tutti noi con la nostra partecipazione diventiamo nutrimento,  presidio e difesa dei nostri valori costituzionali.  

I vostri nonni e i miei genitori non hanno combattuto per vedere il mondo dei loro figli e nipoti ritornare verso il triste destino delle dittature, delle guerre, dei campi di prigionia come a Trieste San Sabba, Bolzano Gries, Fossoli o Servigliano.

Abbiamo vissuto per quasi ottant’anni in un’Italia libera, in un’Europa, in un mondo, che trovava finalmente ristoro dopo le guerre scatenate dalle ideologie totalitarie.

Dopo la guerra i nostri nonni e genitori hanno ricostruito l’Italia, non solo da un punto di vista economico, ma sul piano della vita civile, delle libertà, delle opportunità di una società finalmente libera e in pace.

Era un’Italia che soffriva gravi malattie, eppure fu l’epoca che ci fece sognare, credere nel futuro, partecipare con passione alla costruzione del nuovo stato libero e democratico.  

Questa ricostruzione va ripresa oggi, ecco perché serve ancora parlare dei Giusti e dell’operatività del Bene, perché non c’è società che possa crescere e migliorare senza la nostra partecipazione, senza la nostra testimonianza civile.

Siamo quindi chiamati tutti all’impegno per invertire un destino che incombe e non ci appartiene: per riprendere il cammino della cittadinanza pacifica, impegnata nella salvaguardia dei diritti, con una partecipazione e testimonianza coraggiosa, capace di estendere democrazia, libertà e sicurezza in ogni area del pianeta.

Ma che cosa è la Giornata europea dei Giusti e perché mi è cara?

Devo accennare alla vita di Moshe Bejski e al quadro storico che la contiene.

Moshe Bejski nasce in una famiglia povera nel 1921 a Dzialoszyce, vicino a Cracovia, Polonia, un borgo con una popolazione in larga parte ebrea.

Il primo settembre del 1939, l'esercito tedesco invade la Polonia:  il giovane Moshe scappa e viaggia nella speranza di salvarsi, passare il confine russo, nascondersi, ma, con l’alleanza segreta tra Germania nazista e Russia comunista firmata il 23 agosto 1939 per conto di Hitler e Stalin dai ministri Ribbentrop e Molotov, l’esercito russo invade tutta la Polonia dell’est il giorno 17 settembre 1939.

Seguendo gli accordi tra Hitler e Stalin la spartizione della Polonia tra nazisti e sovietici trova confine sul fiume Bug, sul fiume Narev e sulla Vistola. I russi si impossessano di più della metà della Polonia di allora, cioè di un territorio di circa 200.000 km quadrati dove vivevano 5 milioni di ucraini, 5 milioni di polacchi, un milione di ebrei, un milione di bielorussi.

Scrive il ministro russo Molotov:

“Il territorio che è passato all’URSS è, per dimensioni, uguale al territorio di un grande Stato europeo. Quello della Bielorussia occidentale raggiunge i 108mila chilometri quadrati, con una popolazione di 4 milioni e 800.000; quello dell’Ucraina occidentale gli 88.000 chilometri quadrati, con una popolazione di 8 milioni di persone. Inoltre, il territorio dell’Ucraina occidentale che abbiamo acquisito, insieme a quello della Bielorussia occidentale, è di 196.000 chilometri quadrati, con una popolazione di circa 13 milioni, di cui oltre 7 milioni sono ucraini, oltre 3 milioni bielorussi, oltre 1 milione polacchi e oltre 1 milione ebrei”[1].

Queste popolazioni, si trovarono da un giorno all’altro, inglobate nell’URSS. I sovietici eliminarono fisicamente tutti gli ufficiali polacchi per cancellare la classe alta e colta della Polonia[2]. Pochi, a proposito di memoria storica,  ricordano in Italia questa invasione russa.

Dal lato loro i tedeschi inglobarono poco meno della metà del territorio polacco: come annessione al territorio del Reich 11 milioni di abitanti, di cui solo 600.000 tedeschi, e 93.000 chilometri quadrati. Altri 12 milioni di abitanti in altri 96.000 chilometri quadrati con città come Varsavia, Cracovia, Lublino furono annessi in un governatorato generale che amministrava sotto stretta occupazione militare nazista.

Tutti gli ebrei e la gran parte dei polacchi, cioè tutti quelli che si rifiutavano di essere complici degli occupanti, vennero imprigionati e condannati ai lavori forzati e alla morte. Per Hitler l’obiettivo era “la distruzione fisica del nemico, spopolare la Polonia e farla colonizzare dai tedeschi” perché per il dittatore tedesco i polacchi erano Untermenschen, cioè esseri di razze inferiori da usare come schiavi dell’impero tedesco. Quanto previsto dall’accordo tra Germania nazista e Russia comunista fu realizzato.

L’esercito russo invase la Finlandia alla fine di novembre 1939 e il 12 marzo 1940, a causa della resistenza finlandese, concludeva le operazioni. A giugno 1940 l’URSS si era impossessata anche della Lettonia, dell’Estonia, della Lituania e della Bessarabia romena. La Germania, dopo aver occupato la Norvegia, il 10 maggio 1940 lanciava un massiccio attacco sul fronte occidentale invadendo l’Olanda e il Belgio neutrali, e attaccando la Francia.

Era l’abisso della guerra mondiale.

Torniamo a Moshe che prova a fuggire ancora alla guerra e alle persecuzioni.  Arriva a Varsavia, ma la situazione è critica. I tedeschi procedono a razzie e rastrellamenti, operano trasferimenti e deportazioni nei campi di prigionia. Inoltre stanno murando e chiudendo il ghetto da dove non è più consentito uscire.

Moshe non sa dove rifugiarsi e torna a Dzialoszyce. Il 3 settembre 1942, il comando tedesco impone agli ebrei di Dzialoszyce di raccogliersi nella piazza della città in abiti da lavoro, con un bagaglio che non superi i 30 chili.

Vecchi, bambini e malati vengono messi in disparte. Vengono condotti nei campi di sterminio. Tutti gli idonei al lavoro, invece, vengono inviati in diversi campi di concentramento e sfruttati come schiavi. Moshe è destinato al campo di Miechowitz. Da lì riesce a fuggire con altre 15 persone e si nasconde in una angusta soffitta che fa da nascondiglio. E' costretto a fuggire di nuovo a causa dei continui rastrellamenti, spera di ottenere aiuto da un suo vecchio compagno di scuola, ma non trova soccorso. Riesce ad arrivare a Cracovia, ma senza cibo e senza aiuto si rassegna a tornare nel quartiere ebraico del campo di lavoro di Plaszow. Le condizioni di vita peggiorano radicalmente nel febbraio del 1943, quando cambia il comando del campo e viene esercitata sui prigionieri una violenza costante, assurda, insensata. Molti degli ebrei presenti nel campo vengono inviati ad Auschwitz. Moshe riesce a impietosire e corrompere con del denaro il kapò Marcel Goldberg al fine di uscire dal campo.

Vuole raggiungere la fabbrica di un imprenditore tedesco che aveva aderito al nazismo, ma che per numerose ragioni stava entrando in conflitto con la dirigenza nazista. Contemporaneamente aveva iniziato, un'opera di salvataggio degli operai ebrei che venivano da Plaszow.

Come sapete, l’imprenditore era Oskar Schindler.

Moshe diventa velocemente un esperto nella fabbricazione di documenti falsi per gli ebrei da salvare.

Il 9 maggio 1945 Cracovia è libera. La Germania nazista è stata sconfitta dall’Alleanza degli stati antifascisti e dai movimenti partigiani.

Torna la pace in Europa.

Moshe, che ha perso tutto e non possiede niente, emigra nel nascente stato di Israele, studia e poi si laurea come avvocato a Parigi. Continua a studiare e diventa un magistrato.

Invita a Tel Aviv Oskar Schindler e lo accoglie con altre duecento persone che lui ha contribuito a salvare. Scrive le storie di queste duecento persone su duecento pagine e pubblica il libro "Il tribunale del bene".

Nel 1953 viene creato lo Yad Vashem.

La memoria del Bene è un potente strumento educativo e serve a prevenire genocidi e crimini contro l'Umanità. Serve a riflettere su come si può fermare il male nelle drammatiche condizioni delle guerre, delle dittature, dei sistemi che impediscono la libertà.

Abbiamo un debito di gratitudine con i tanti Giusti delle Marche come Quirino Stortini e Sperandia Azzurri; Giuseppe Pupita e la moglie Elena Terducci, e i figli Anna Maria e Piero; Goffredo Lobati e Stefania Balocchi con il figlio Adolfo e Italo Marchegiani; Alberto Nembrini e Maria Benadducci e tanti altri.

Si riflette sui tanti Giusti di oggi: un esempio, Hamadi ben Abdesslem, la guida tunisina che salvò cinquanta italiani da una morte certa al Museo del Bardo di Tunisi; o Lassana Bathily, il giovane del Mali che salvò i clienti ebrei durante l'attacco al supermercato Iper Kasher di Parigi. Ilham Tohti, il docente uiguro che ha denunciato le violenze subite dalle minoranze in Cina; Godelieve Mukarasi, sopravvissuta al genocidio in Ruanda e ancora impegnata nella cura delle donne vittime di violenza e nella riconciliazione fra Hutu e Tutsi.

Altri Giusti di oggi sono i soldati che disertano le guerre volute dai dittatori o si ribellano a ordini disumani, danno soccorso a costo della loro stessa vita, salvano le vittime delle deportazioni e delle torture.

L’educazione alla pace, in un mondo così complicato e difficile, deve basarsi sulla memoria e sulla conoscenza storica, su una storiografia transnazionale, sulla pluralità delle culture, nel fermo rifiuto di ogni ideologia dittatoriale.









[1] A. Salomoni, Il protocollo segreto. Il patto Molotov-Ribbentrop e la falsificazione della storia, Il Mulino, Bologna 2022, pp. 34-35

P. Giunta La Spada, Italia, 8 settembre 1943. Autobiografia di una nazione, Affinità elettive, Ancona 2023, pp. 88-89. 

Il testo integrale di Molotov si trova in V. M. Molotov, Sulla politica estera dell’Unione sovietica, Edizione russa in lingue estere (italiano), Istituto per gli studi  di politica internazionale, Roma 1940.

[2] A Katyn, nei pressi di Smolensk, nella Primavera del 1940 circa 15.000 ufficiali, giornalisti, intellettuali, dissidenti furono deportati in una foresta e uccisi brutalmente dai sovietici. La strage fu ammessa dalle autorità russe solo nel 1990. Altri 7.300 polacchi furono uccisi nello stesso periodo nelle prigioni ucraine e bielorusse portando il totale delle vittime a circa 22.000. Altre migliaia di polacchi e ucraini furono deportati in Siberia e in altri campi della parte asiatica dell’URSS.  G. Sanford, Katyn e l’eccidio sovietico del 1940. Verità, giustizia e memoria, UTET, Milano 2007