18 agosto 2011

Italiani senza Storia

Cari lettori,
l’economia è vitale per tutti noi, ma oggi vorrei parlare dell'ultimo grave "infortunio" del governo del premier. Che i provvedimenti finanziari del governo non servano a nulla lo sapete: siamo tutti più poveri e tassati a causa di misure inique e folli che non sono nè riforma fiscale, nè riforma della finanza per rilanciare la voglia di imprendere in Italia. Sembra che il governo sia impegnato a scoraggiare o deprimere ogni residua voglia di investimento nella penisola. Ma quello che mi sta a cuore oggi è l’insipienza cafona e volgare con cui si suppone di cancellare le nostre tre feste nazionali: 25 aprile, 1° maggio e 2 giugno. Succedesse in un altro Paese, non dico europeo ma anche del Terzo Mondo, ci sarebbe una rivoluzione e li spellerebbero vivi, quelli col fazzoletto verde che stanno seduti all'inno di Mameli per primi. Pensate se in Francia cancellassero il 14 luglio... Ora, dicono gli ignavi, si spostano alla domenica prima o dopo, non è che si cancellano. No signori, spostarle alla domenica significa abolirle. La vita di ognuno di noi è fatta di giornate storiche, celebrazioni, vittorie e sconfitte. Così una nazione. E’ questo che dà significato all'esistenza di un uomo come alla vita di una nazione. Saper conservare il ricordo di ciò che porta significato, emozioni e valori. La memoria di ciò che è successo nella storia è patrimonio indissolubile della nostra civiltà. Non si sposta, non ci si gioca, non si cancella.
Non si tocca.

Paolo Giunta La Spada

14 agosto 2011

Ferragosto

La terra degli altri e i nostri consumi

La produzione agricola non riesce a soddisfare le esigenze di nutrizione della popolazione mondiale, specie nei Paesi poveri. Quest’anno la siccità mette a rischio la vita di 9 milioni di persone in Etiopia, Somalia e Kenya. Il cibo e l’acqua scarseggiano. Undici aziende britanniche hanno comprato 32 milioni di ettari in varie regioni d’Africa per coltivare legumi e cereali da destinare alla produzione di biocarburanti. L’Unione Europea ha deliberato che entro il 2020 il 10% del carburante usato in Europa debba essere di origine bio. Il problema è che il ciclo di produzione per giungere ad un litro di biodiesel necessita di 4.000 litri di acqua. Oltre agli inglesi anche cinesi, americani, tedeschi e francesi stanno comprando terreni che già vengono coltivati per produrre biocarburanti in Etiopia, Kenya, Tanzania, Mozambico, Angola, Camerun, Sierra Leone, Benin e Nigeria. Così, nel loro continente, cioè a casa loro, gli africani trovano i campi destinati alla produzione di biodiesel per il consumo europeo piuttosto che al grano e ai legumi da mettere sotto i denti.
Pensate se succedesse il contrario. Cioè oggi vi affacciate alla finestra, dalla vostra bella casa di campagna o in vacanza al mare, guardate le verdi colline e le floride pianure d’Italia e trovate tutto coltivato per fare carburante da destinare alle automobili degli africani.
Che direste?

La società globale

Il mondo sviluppato, invece, produce più merci di quante se ne possano comprare. Pertanto le aziende spendono ogni anno nel pianeta 550 miliardi di dollari in pubblicità. La pubblicità non è solo messaggio commerciale, ma è un linguaggio pervasivo che ci accompagna e ci educa fin da quando siamo piccoli, si avvale di diversi emittenti e diffonde filosofie e modelli comportamentali che ci entrano dentro senza che ce ne accorgiamo. Un bambino italiano che sta due ore al giorno in televisione si becca 5.000 spot pubblicitari all’anno. Le persone pensano di decidere della propria esistenza e delle scelte di consumo, in realtà sono largamente indotte a consumare ciò che “devono” consumare, cioè merci e stili di vita decisi da altri. Possono essere diverse le categorie di consumo, ma per ognuno si instaura il meccanismo perverso del bisogno indotto, del desiderio artificioso. I ricchi o coloro che provano ad essere anticonformisti, o almeno di non essere troppo esposti alle leggi del mercato finiscono per sviluppare mercati che sono “alternativi” solo in apparenza, spesso sono nuovi mercati di nicchia, a volte snob, o altolocati, o improbabilmente “esclusivi”, come recita la più bieca pubblicità.
Se sono poveri, in quanto non consumatori, non sono considerati esseri umani meritevoli di vivere. Non li vuole nessuno, come i 9 milioni che in Kenya, Somalia ed Etiopia muoiono tutti i giorni: 25.000 persone al giorno con la pancia secca e strozzata dalla fame.
Consumo ergo sum, è il Credo della società globale.
I giovani di Londra infatti non hanno invocato rivoluzioni o cambi di governo: hanno rubato TV al plasma, I-phones e computer.

Il governo e il declino del nostro splendido Paese.

La crisi, intanto, è arrivata sempre di più anche nel nostro mondo. Il premier ha narrato amabili frottole per anni. Ora sta togliendo a lavoratori dipendenti e pensionati quel poco che dava ancora un barlume di vita e speranza. Il feroce e ingiusto rastrellamento di denaro lascia l'evasione fiscale intoccata e non produce alcun accenno di seria riforma fiscale. Ottiene un solo risultato: italiani sempre più tassati e poveri. La cricca politica continua a guadagnare 18.000 Euro al mese e a cenare in Parlamento con 2 Euro. Con l'inquietante prospettiva di un Paese allo sbando i TG RAI e Mediaset dicono solo menzogne e la programmazione estiva non mostra una sola analisi, un solo reportage, sulla crisi in atto.
Contemporaneamente i nostri aerei bombardano la Libia e, senza una vera politica estera, la triste Italia del “premier bunga-bunga” si avvia al declino definitivo, con centro, destra e sinistra che stanno a guardare, o litigano tra loro senza avere un programma chiaro e credibile. Anche molti italiani fanno la loro parte: disprezzano i politici per la loro disonestà, ma se ne servono. A chiacchiere, tra un gelato d’agosto e l’altro, denunciano gli sprechi al vicino d’ombrellone, si lamentano della classe politica, ma molti hanno “scheletri nell’armadio” e tornati a casa stanno attenti a non inimicarsi il potente che in passato gli ha fatto “il favore” o il conoscente che ancora gli può essere “utile”.

Civiltà fa rima con onestà.
Cambiare l’Italia significa, oltre che sostituire l’attuale classe dirigente, non chiedere “favori”, non creare rapporti patrono-clientes e lavorare tutti per avere un Paese più trasparente.
Più libero.
Più bello.