26 febbraio 2011

Il Dialogo sopra i Massimi Sistemi

Hai visto che cosa è successo in Egitto e in Libia? Adesso ci sarà la democrazia, mi dice Joseph mentre traffica con la serratura della porta di casa.
Tutto risolto allora, eh? Dico io, riferendomi alla serratura che sembra a posto.
Sì, dice lui, il popolo ha vinto.
Dove l’hai letto?
Tutti dicono così.
E tu ci credi?
Non so.
Così, a lavoro finito, mentre sorseggiamo un caffè, gli racconto dell’Italia e dei problemi di una democrazia.
Lui mi chiede perché voi italiani avete “that crazy man who is leading Italy, what’s his name?”
Forse ogni paese ha un “crazy man leading the country?”, rispondo imbarazzato...
Perché il popolo non se ne libera? Insiste…

Così, visto che il mio amico Joseph e tutti i giornali del mondo parlano di democrazia e libertà e visto che tali concetti, a me cari, sono così abusati da essere incomprensibili, vi scrivo, in linea con i criteri della più aggiornata sociologia politica, le caratteristiche di due diversi tipi di democrazia. Il primo, la "democrazia formale", è un sistema democratico solo a parole e nell'apparenza, in realtà si tratta di un sistema malato che ha poco di democratico. Il secondo, la "democrazia sostanziale", funziona bene pur essendo sempre migliorabile come devono essere sempre tutti i sistemi democratici e le società aperte; i giovani che hanno voglia di libertà e democrazia dovrebbero avere chiare le idee e rendersi conto del cammino che bisogna intraprendere per iniziare a costruire una autentica democrazia.
Bisogna anche capire che la società perfetta non esiste, che la democrazia presente in una società non è mai un assoluto, ma una quota percentuale relativa, che ogni conquista sociale e politica è stato il prodotto di un faticoso progresso di lotte, sofferenze, guerre di liberazione e rivoluzioni. Che le conquiste ottenute con tanti sacrifici vanno mantenute con un impegno costante. Perchè la libertà e la democrazia sono come l'amore. Per non farlo finire è necessario nutrirlo, coltivarlo, sorprenderlo, rinnovarlo.

Le "democrazie formali".

L’esistenza di libere elezioni aperte a tutti i cittadini senza distinzione di razza, sesso, stato sociale o religione, è condizione necessaria, ma non sufficiente per instaurare un sistema veramente liberale e democratico.
Una democrazia formale è quella in cui esiste il suffragio universale, ma andare a votare finisce per essere un mero rituale basato sull’apparenza, solo sulla forma, appunto.
I partiti sono pochi, spesso l’opposizione è d’accordo con il governo in carica, a volte il principale partito d’opposizione è diretto da un parente o amico del leader al potere (in Africa succede spesso). In altri casi l’opposizione non dispone dei mezzi necessari a far sentire la sua voce. La libertà di espressione subisce delle limitazioni.
I partiti presentano programmi simili e non effettivamente alternativi l’uno all’altro.
Andare a votare si riduce quindi ad un rituale inutile che non ha conseguenze concrete sulla vita dei cittadini.
Le lobbies economiche influenzano la vita del Paese e ne limitano il libero sviluppo. Il potere politico condiziona il mercato economico e finanziario e ne limita la libertà. Gli imprenditori onesti che pagano le tasse sono superati nella competizione economica di mercato da quelli disonesti che non le pagano o da coloro che godono di appoggi politici più o meno mascherati.
Il popolo non è messo in condizione di interpretare la realtà, non è incentivato a studiare la storia e i suoi diversi e molteplici punti di vista; non possiede cognizioni di economia, geografia, geopolitica, non sa discernere tra diversi sistemi ideologici. In tali società il sistema scolastico e universitario è scadente e non permette una autentica formazione civile e politica.
Ci sono scuole per i poveri e scuole per i figli dei ricchi: i futuri dirigenti. Le scuole pubbliche funzionano poco e male a causa principalmente degli scarsi finanziamenti.
I lettori assidui e colti sono la minoranza della società, l’ignoranza è diffusa e i media sono in mano a pochi gruppi e famiglie che riescono così a influenzare a proprio favore l’opinione degli elettori.
I network televisivi, le case editrici e i giornali sono proprietà di pochi gruppi o persone che in questo modo condizionano direttamente, o in modo mascherato sotto una parvenza liberale, l’opinione pubblica.
L’editoria è ridotta. Cinema, teatro, musica e arte sono limitati e poco diffusi. Lo sport è usato come panem et circenses. La religione è usata per limitare la libertà scientifica, culturale e delle idee.
Esiste la censura o, attraverso un sistema che permette la carriera solo a coloro che sostengono il leader al potere, una diffusa forma di autocensura per cui nessun giornalista ardisce di scrivere contro il dittatore al potere perché lui decide del denaro e della carriera politica degli uomini e delle donne del suo seguito.

La democrazia sostanziale.

Una democrazia sostanziale è una società libera e aperta nel significato che Karl Popper ha iniziato a dare fin dal 1945. Una società aperta agli influssi esterni e capace di accogliere le critiche interne, che dialoga con tutti, si confronta col mondo e vuole crescere e imparare da tutti per costruire il meglio.
Esistono libere elezioni e una rete di partiti e associazioni che riescono a rappresentare le varie opinioni politiche presenti nel tessuto sociale ed economico. I partiti propongono programmi effettivamente alternativi.
In tali società i diritti civili sono diffusi e non soltanto lettera morta nelle leggi scritte, ma nella pratica civile quotidiana. Le minoranze etniche, religiose, culturali vengono tutelate senza alcuna discriminazione.
I tre poteri di una società democratica, legislativo, esecutivo e giudiziario, operano in modo nettamente distinto e autonomo.
La legge è uguale per tutti e non esistono immunità per i potenti di turno.
La competizione economica è libera. Lo stato punisce chi non paga le tasse perché si sottrae alle regole del mercato libero che è favorito e severamente tutelato perché ogni società trae beneficio dall’impresa che produce ricchezza. Lo stato premia gli imprenditori che pagano le tasse con forti incentivi e sgravi.
La scolarizzazione raggiunge il 100% della popolazione e non è solo quantitativamente significativa, ma anche di alta qualità. Le scuole pubbliche sono belle e accoglienti. I docenti sono rigorosamente selezionati, svolgono un lavoro ben remunerato e di alta qualità. Le Università offrono borse di studio ai meritevoli, sostengono gli studi dei bisognosi. Il dibattito storico e scientifico è largamente divulgato al fine di coinvolgere la popolazione e accrescere la sua capacità di autodeterminare le scelte relative al proprio futuro. L’editoria è libera e particolarmente vivace. I lettori colti e assidui sono la maggioranza della società. Si pubblicano molti libri e la ricerca culturale e scientifica è incisiva e aggiornata. Teatro, musica, arte e cinema sono facilmente fruibili su tutto il territorio e possibilmente a buon mercato. La formazione di opinioni diverse è favorita. Non c’è un governo che stabilisce come la devi pensare. L’Internet veloce raggiunge il 100% della popolazione ed è a buon mercato. E’ promosso lo studio della storia. La partecipazione alla politica è favorita.
L’informazione è plurale ed esistono leggi che vietano l’ingresso in politica ad imprenditori del mondo dell’informazione radiotelevisiva e stampata. La televisione pubblica e i suoi organi di informazione non subiscono pressioni o censure da parte del governo in carica.

Che democrazia è l'Italia?

© RIPRODUZIONE RISERVATA PAOLO GIUNTA LA SPADA

24 febbraio 2011

A Sud dell’Italia

“Se non si studia l’Africa di oggi e non si considerano le guerre africane non si capisce l’emigrazione. Se non si conosce l’emigrazione non è possibile governarla. Integrazione, cittadinanza, repressione della criminalità, rilascio dei visti, respingimenti: sono temi che, se non si studia la realtà, non possono essere considerati con serietà, sono solo spot elettorali. Oggi anche Gesù, da straniero quale era, sarebbe respinto, cacciato, mandato indietro. L’Europa ha colonizzato l’Africa, l’ha sfruttata, schiavizzata ed erosa nelle sue risorse. Oggi appare come colui che non vuole sapere cosa succede al vicino che sente tutti i giorni morire, fino a quando la casa del vicino brucia e scoppia anche la sua. Il mondo globale è un’opportunità per fare business e arricchirsi, ma non ha cambiato la sorte di miliardi di poveri del pianeta. In questi anni, inoltre, siamo silenziosamente passati dalla “guerra alla povertà” alla “guerra ai poveri” condotta su larga scala”.
Scrivevo queste parole un anno fa: potete trovare il saggio completo al seguente indirizzo:
http://paologls.blogspot.com/2010/02/le-terre-di-nessuno-la-teoria-delle.html

Oggi, puntualmente, i media di tutti i paesi del mondo occidentale sono sorpresi per le “rivoluzioni” del mondo arabo e incapaci di dare spiegazioni.

E’ grave che dell’Africa, un continente grande 300 volte l’Italia a 20 minuti di aliscafo dalle nostre coste, gli italiani non sappiano nulla o quasi nulla.
Del resto gli italiani non studiano la loro storia, figurarsi se studiano la storia degli altri popoli.
Il ministro Frattini si è recato recentemente, su ordine del premier, in una sperduta isola dei Caraibi per fabbricare un dossier contro il Presidente della Camera Gianfranco Fini. Avrebbe fatto meglio ad aggiornarsi sulle condizioni di vita dei nostri vicini di casa, Tunisia, Libia ed Egitto, e sulla credibilità dei leader al potere. Fino a pochissimi giorni fa il ministro e gli altri esponenti di governo dicevano agli italiani che l’Italia sarebbe stata al riparo dalle possibili ondate migratorie grazie agli accordi Italia-Libia e ai miliardi regalati al dittatore libico. Che gli accordi fossero un esempio di spreco del denaro pubblico e di mediocre politica estera si era capito quando i pescatori italiani erano stati presi a colpi di mitra dai militari libici su un battello pagato dai contribuenti italiani:
http://paologls.blogspot.com/2010/10/storie-di-mari-e-migranti.html

Il sistema “occidentale” delle informazioni non funziona più.
Non funziona l’informazione finanziaria dove i frequenti conflitti di interesse hanno reso le opinioni di Moody’s, Standard & Poors e Fitch Ratings sempre meno credibili. Gli USA e il Regno Unito che fino a qualche decennio fa apparivano come le Vestali dell’ordine internazionale, tanto da decidere guerre senza ascoltare l’opinione dell’ONU, oggi non sono neanche in grado di fare previsioni sul corto periodo. L’Economist, la prestigiosa rivista britannica, scriveva sul numero “The World in 2011”, uscito a fine 2010, che la Libia sarebbe stata al 4% di sviluppo annuale, che il potere di Gheddafi non era in discussione, che avrebbe compiuto senza alcun problema il quarantunesimo anno al potere, che a lui succederà il figlio, ma solo nei prossimi anni, che la Libia forte dei massicci guadagni ottenuti grazie alle vendite di petrolio sarebbe stata protagonista sui mercati e avrebbe comprato e investito con successo in tutta l’Africa.
Anche l’intelligence angloamericana è in crisi: la CIA passa da un fallimento all’altro. Dopo la figuraccia sulle “armi di distruzione di massa” in Irak, mai esistite, ma inventate per permettere al Presidente Bush di dichiarare la guerra all’Irak, la CIA non è stata in grado di capire che cosa sta succedendo in Afghanistan, in Iran e in molti paesi arabi e africani. Le continue dimissioni di dirigenti di primo piano all’interno della CIA sono state proporzionali agli insuccessi e agli smacchi subiti prima dall’amministrazione Bush e oggi dall’amministrazione Obama. In Afghanistan gli americani hanno perso la guerra e le amministrazioni Bush e Obama non parlano più di vittoria, ma di “progress” o di “exit strategy”. Al Quaeda ha spostato i suoi centri di terrore in Pakistan e l’insorgenza islamica radicale è tornata minacciosa.

L’esultanza con cui molti in Italia hanno accolto le notizie provenienti dai paesi arabi, in particolare da Egitto e Libia, è sorprendente. La caduta di un dittatore non significa necessariamente l’inizio di una vita all’insegna della democrazia e dei diritti civili. Quando nel 1978 in Iran cadde il regime dello Scià molte furono le aspettative deluse dall’avvento di una dittatura teocratica spietata. Credere alla favola che con un colpo di bacchetta magica gli arabi stiano andando verso la democrazia è molto pericoloso. L’idea dei popoli coraggiosi che battono le dittature è densa di nuove speranze, ma so che il difficile di ogni rivoluzione viene il giorno dopo. Spero di sbagliarmi, ma temo di no: in diversi casi si tratta di trasformazioni dagli esiti molto incerti che possono creare instabilità nel Mediterraneo, nelle relazioni con Israele, nel mondo intero. Soprattutto in Libia, una società chiusa dove manca una autentica classe media, c’è da temere che gli imam islamici tradiscano i giovani che chiedono diritti civili, prendano il sopravvento, instaurino un regime islamico chiuso agli influssi esterni, appoggino Al Quaeda e la rete terroristica internazionale.

Il mondo occidentale, e in particolare il binomio USA-Regno Unito, ha gravissime responsabilità su quanto è successo e sta succedendo. Le due potenze hanno per 60 anni condizionato, influenzato, cambiato il corso degli eventi in ogni area del Medio Oriente e, in misura assai minore, del Nord Africa. Prima con un ruolo apertamente coloniale, imperialistico e aggressivo; poi, dopo la decolonizzazione, con una politica ambigua che finiva per sostenere molti regimi dittatoriali solo perché erano filo-occidentali. Un esempio è l’Egitto di Mubarak.
Non c’è mai stata, al di là delle dichiarazioni, una politica di autentico sostegno allo sviluppo democratico e liberale di quelle società e, vista la quantità dei nemici e dei problemi sul campo, non si è aperto molto spazio per tale politica.
L’intervento militare in Irak, con il suo carico di distruzioni, ha fornito un grande aiuto alla propaganda fondamentalista che ha ripreso forza in tutti i Paesi arabi.
In questi giorni l’apparato politico delle potenze occidentali sembra spiazzato e impotente: si attende di capire, con molta incertezza, chi possa vincere nei vari Paesi per poi cercare di ripristinare appoggi, complicità, riconoscimenti e alleanze. Il passaggio delle navi da guerra iraniane nel Canale di Suez è un segno premonitore di come il radicalismo islamico si stia preparando a trarre tutti i possibili vantaggi dalle crisi in atto nei Paesi arabi.

21 febbraio 2011

Le tre "i" e il lento declino dell’Italia

Il governo italiano, al di là delle dichiarazioni d’intenti, non ha deciso nulla sui temi delle biotecnologie, della ricerca nel campo dell’energia, dello sviluppo sostenibile, della scienza al servizio dell’agricoltura, della politica industriale, delle infrastrutture promesse. I cantieri sono fermi.
Il premier si è preoccupato delle aziende di sua proprietà e di allegre festicciole a base di "escort".

Nella graduatoria mondiale delle tecnologie informatiche, in particolare per la velocità d'uso di Internet, l’Italia figura al settantesimo posto dopo la Giamaica. Il premier della settima economia del mondo aveva promesso nel 1994 le tre "i" (inglese, internet, impresa) al primo posto dell’agenda di governo: il risultato, dopo un quindicennio, è un fallimento.
Nell’Internet siamo superati da tutti; essere collegati alla banda larga resta per molti italiani un miraggio, un'illusione o una spesa difficile da affrontare.
In parecchi Paesi d’Africa l’Internet è molto più veloce e più a buon mercato.
L’inglese nelle scuole si studia come 50 anni fa (“the pen is on the table”), anzi molto peggio in quanto i "tagli" alla scuola firmati dal ministro Gelmini su ordine di Tremonti hanno cancellato i laboratori audio-video, espulso le docenti di madre-lingua, avvilito ancor di più gli insegnanti costretti a girare per le scuole con il registratore portato da casa (dopo aver sostenuto mortificanti collette per comprare la carta delle fotocopie e l’inchiostro mancante della macchina fotocopiatrice). Diversi professori si limitano a possedere le competenze linguistiche apprese ai tempi del loro vecchio corso di laurea all'Università. Non sempre hanno una reale conoscenza della lingua, l’accento è quello che è. Insomma non sempre sono all’altezza del compito e subiscono condizioni inaccettabili di lavoro che spingono i più mediocri alla mera sopravvivenza e invitano i più bravi a cambiare lavoro o a diventare eroi.
Quanto all’impresa: sono i principali leader industriali del Paese come la Marcegaglia, n.1 Confindustria, o Montezemolo, n.1 Ferrari, a lamentarsi dell’inerzia del governo. Il premier mostra di non voler capire che la tattica di favori e regali ai suoi amici non è politica industriale e non fa il bene del Paese.
Il caso vergognoso dell’Alitalia, tutto a carico del contribuente, ne è un chiaro esempio. L'Italia ha bisogno di politiche economiche che permettano alla nostra gente di avere gli strumenti di lavoro per competere con le altre nazioni del globo. Recentemente Sergio Romano, sulle colonne del Corriere della Sera, ha osservato che il premier, se condannato in primo grado, potrebbe anche continuare a governare. Chiedo: succede a chiunque una cosa del genere? Un docente condannato in primo grado per rapporti sessuali con una minorenne continuerebbe a insegnare e parteciperebbe alle riunioni collegiali e ai colloqui con i genitori? Una maestra d'asilo condannata per pedofilia continuerebbe a stare in classe?
Un premier di livello europeo ricoperto di accuse tanto gravi avrebbe la faccia di presentarsi alle riunioni internazionali?
E soprattutto, visto che rappresenta la Nazione: riscuoterebbe la fiducia dei suoi interlocutori e degli altri leader stranieri?
Il premier farebbe dunque il bene del Paese se desse le dimissioni.
Inoltre vengono dei legittimi e ulteriori dubbi, oltre a tutti quelli che sono venuti in 15 anni del suo governo: che faccia delle leggi per cancellare i suoi processi, salvare la sua posizione di privilegio, mettere lui le manette ai giudici.
Non ci si rende conto che stiamo passando dal conflitto di interessi all'eversione nei confronti delle istituzioni repubblicane e democratiche?
Gli italiani dovrebbero capire che è stato un errore dare credito ad un personaggio che ha avuto 15 anni per fare la rivoluzione liberale che aveva promesso e che ha trasformato invece l'Italia in un regime populista e autoritario, in una società che mantiene un apparato democratico da un punto di vista meramente formale, ma che ha perso la sostanza delle autentiche democrazie liberali.
Che ha infangato l’Italia con i suoi orribili comportamenti fino a farla diventare il Paese più deriso del mondo.
Forse il prof. Romano vuole salvare il premier?
Io vorrei invece che si salvasse l'Italia.