22 gennaio 2012

Ricordate la Libia?

Seconda parte.

Il Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi ha visitato Tripoli il 19 gennaio 2012 e ha intrattenuto costruttivi contatti con i rappresentanti del National Transitional Council (NTC) per ristabilire un quadro politico positivo tra Italia e Libia. Ci sono da ripristinare gli accordi sui temi del petrolio e del gas, l’auspicabile ingresso della piccola e media industria italiana nel territorio, la collaborazione sul problema dell’emigrazione e della sicurezza. L’Italia ha promesso al nuovo governo libico di fornire forze militari in grado di formare la nuova Polizia del Paese.

L’Italia dovrà fare presto visto che oggi, 22 gennaio 2012, diverse centinaia di combattenti libici armati hanno piazzato bombe a mano sulle porte del quartier generale del National Transitional Council di Bengasi, hanno fatto irruzione nell’edificio devastandolo, hanno costretto il leader Mustafa Abdul Jalil a trattare e ancora adesso, mentre questo post sta per essere pubblicato, circa 50 agenti in borghese stanno cercando di convincere gli ex-combattenti a tornare a casa.

I libici, a più di tre mesi dalla fine della guerra civile, si sentono sempre più frustrati per la mancanza di riforme politiche e di una chiara svolta nella gestione del Paese. La protesta sta montando in tutto il Paese. Migliaia di manifesti affissi nelle strade di ogni città invitano i libici a consegnare le armi, ma gli ordini non vengono rispettati e 125.000 miliziani risultano ancora armati. A dicembre scorso il governo ha imposto lo smantellamento dei check point delle milizie a Tripoli, ma ai primi di gennaio centinaia di uomini armati sono ricomparsi a Tripoli con la scusa che nella città erano stati avvistati seguaci di Gheddafi.

Nelle scuole è ripresa l’attività scolastica con i nuovi libri di testo che esaltano l’azione rivoluzionaria che ha condotto alla caduta di Gheddafi, ma la realtà è che nel Paese agiscono quasi 100 milizie armate che fanno riferimento a trenta diverse tribù e a distinti gruppi politici e religiosi. Il processo di transizione per una nuova Libia versa in un grave clima di incertezza. Anche nei giorni scorsi gruppi di manifestanti hanno mostrato la loro insoddisfazione, in particolare aggredendo l’Ufficiale del NTC Abdel Hafiz Ghoga.

I dimostranti chiedono leggi elettorali più trasparenti e poteri per i combattenti della guerra civile. La divisione delle forze politiche in Libia rispecchia il decentramento e la sostanziale autonomia che avevano le milizie combattenti nella lotta contro il regime di Gheddafi. Mentre il governo cerca di smilitarizzare il Paese le milizie si danno un’organizzazione istituzionale indipendente e continuano ad arrestare, detenere sospetti, acquistare armi, controllare intere regioni. Le milizie non intendono rinunciare al loro potere e accusano il NTC di voler ripristinare il vecchio potere senza cambiamenti di rilievo.

Oltre al conflitto tra milizie armate e governo di transizione si acuiscono i contrasti e i sospetti tra le varie milizie che cercano di assumere ruoli politici centrali nella costruzione della nuova Libia. Le milizie di Zintan, Misurata, Bengasi controllano le rispettive città, gli aeroporti, le strade principali e non esistono forme di collaborazione tra loro o con gli altri gruppi armati.

In effetti la Libia non è mai stata una nazione se non nell’occupazione coloniale italiana che l’aveva unificata e nel regime di Gheddafi che aveva impostato un modello politico di rentier state. Un rentier state si basa su un patto sociale tra governante e popolo governato per cui lo stato ridistribuisce parte delle sue entrate statali al popolo e il popolo, in cambio, non reclama per sé poteri e diritti se non quelli che lo stato ha deciso di elargire. La distribuzione di sussidi e beni primari finisce per corrompere la popolazione che risulta poco incentivata a chiedere una qualche forma di partecipazione o di democrazia nella gestione del potere.
Alla gente viena assegnata una casa, un salario minimo per una prestazione professionale ridotta, beni e servizi gratuiti come assistenza sanitaria ed educazione scolastica e la totale esenzione dalle tasse. In cambio, al popolo si chiede di astenersi da qualsiasi forma di rappresentatività nella gestione concreta dello stato. Al massimo si concedono organismi consultivi di territorio mentre il potere è fortemente centralizzato. Il rentier state è il contrario della moderna società liberale che è basata sul principio “no taxation without representation”.

Il rentier state è tipico di una oil-economy come la Libia in quanto l’intera economia dello stato è basata sulle provvigioni che derivano dalla vendita del petrolio e il fabbisogno dello stato viene tratto direttamente dalla vendita della preziosa materia prima.

E’ prevedibile che anche il nuovo regime segua la medesima impostazione. Difficile pensare, per questa ragione, che si possa avviare un reale processo di democratizzazione. Inoltre l’influenza che in questi mesi stanno assumendo i Paesi del Golfo sul processo libico, in particolare il Quatar, fanno sospettare che sia difficile instaurare un governo democratico in Libia.
Ancora, quello che preoccupa il governo di transizione è la spinta divisiva delle milizie.

I libici, inoltre, non hanno mai sentito una sola identità nazionale.
Il Fezzan rivendica autonomia e la guerra ha acuito la tradizionale rivalità tra Tripolitania e Cirenaica. All'identità nazionale si sovrappongono le identità regionali e a queste si aggiungono quelle tribali. L’affiliazione tribale riguarda al massimo il 20% della popolazione su base nazionale, ma è preponderante e decisiva nelle zone interne del Paese.

Si può ipotizzare una Libia controllata in ogni regione e in ogni città da una milizia o da un gruppo tribale diverso? Si stanno affacciando nel panorama politico i nazionalisti cirenaici, i gruppi tripolini, le società berbere, i tuareg del deserto, i Senussiti, i partiti finanziati da nazioni straniere, gli ex-sostenitori di Gheddafi in esilio all'estero.
L’assassinio di Abdel Younis nel luglio 2011 e la bruciante ascesa politica e militare di Abdel Hakim Belhaj, veterano della guerra russo-afgana e capo islamico radicale, lasciano pensare che gli integralisti islamici siano pronti ad assumere un ruolo di rilievo nel futuro della Libia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

21 gennaio 2012

Ricordate la Libia?

Prima parte.

Lo Stato Maggiore delle forze aeree italiane ha dichiarato: “Le operazioni condotte nel 2011 sui cieli libici hanno rappresentato per l’Aeronautica Militare italiana l’impegno più imponente dopo il 2° Conflitto Mondiale”.
Prima dell’intervento in Libia l’Aeronautica Militare Italiana era intervenuta in Iraq, Somalia, Libano, Serbia, Kosovo, Afghanistan e Pakistan.

Gli AMX e i Tornado hanno colpito con 520 bombe e 30 missili teleguidati a lunga gittata. Gli AV8 “Harrier” della Marina militare hanno sganciato 160 testate.
In tutto, ha riportato il generale Bernardis capo dello Stato Maggiore dell’AMI, Aeronautica Militare Italiana, si è trattato di circa l’80% delle “armi di precisione” a guida laser e GPS in dotazione alle forze armate:
“le munizioni utilizzate dalle forze aeree italiane sono state le bombe GBU-12 da 230 chili, le GBU-16 a guida laser Paveway da 495 chili, le GBU-24 da 907 chili penetranti, le EGBU-24 guidate da laser e GPS, le GBU-32 che possono colpire fino a 25 chilometri con qualsiasi condizione atmosferica, le GBU-38, le GBU-48 e i missili AGM-88 HARM e Storm Shadow da 1300 chili con un raggio d’azione fino a 250 chilometri. Gli obiettivi sono stato raggiunti con una percentuale di successo superiore al 96%”. (fonte Stato Maggiore dell’AMI).

Non si sa chi è stato colpito nel restante 4% degli attacchi, quelli falliti.

Secondo il generale Bernardis, nei sette mesi di operazioni in Libia, “i velivoli dell’Aeronautica Militare italiana hanno eseguito 1.900 missioni con oltre 7.300 ore di volo, pari al 7% delle missioni complessivamente condotte dalla coalizione internazionale a guida NATO”.
“Sugli oltre 1.600 target di ricognizione assegnati ai velivoli italiani, sono state realizzate più di 340.000 foto ad alta risoluzione, mentre circa 250 ore di filmati sono stati trasmessi in tempo reale dai Predator B”. Le missioni di attacco al suolo sono state pianificate e condotte “contro obiettivi militari predeterminati e definiti, o contro target dinamici nell’ambito di aree di probabile concentrazione di obiettivi nemici.”

Lo Stato Maggiore AMI ci informa che l’80% circa delle missioni aeree alleate sono partite da sette basi italiane: Amendola, Aviano, Decimomannu, Gioia del Colle, Pantelleria, Sigonella e, soprattutto: Trapani Birgi. “In questi aeroporti, l’Aeronautica Militare ha assicurato il supporto tecnico e logistico, sia per gli aerei italiani sia per i circa 200 aerei di undici paesi della Coalizione internazionale (Canada, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Francia, Giordania, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Turchia), schierati sul territorio nazionale. In sostanza, il personale e i mezzi della forza armata sono stati impegnati in maniera continuativa per fornire l’assistenza a terra, il rifornimento di carburante, il controllo del traffico aereo, l’alloggiamento del personale.”
Solo a Trapani sono passati il 14% di tutte le missioni NATO oltre a 300 aerei cargo e circa 2.000 tonnellate di materiale. Da Trapani Birgi, uno dei quattro centri di cui dispone la NATO nello scacchiere europeo, hanno operato anche gli aerei radar AWACS, “assetti essenziali alle moderne operazioni aeree per garantire una efficace capacità di comando e controllo”. Lo Stato Maggiore AMI ricorda infine “l’importante supporto di personale specializzato nel campo della pianificazione operativa offerto ai vari livelli della catena di comando e controllo NATO, attivata in tutta Italia”, all’interno del Joint Force Command di Napoli e del Combined Air Operation Center 5 di Poggio Renatico (Ferrara).

Quanto è costato tutto questo all’Italia? Stiamo parlando di 3.000 missioni e 11.800 ore di volo più tutto il materiale tecnico e di servizio. Un’ora di missione dei cacciabombardieri, secondo Il Sole 24Ore, costa Euro 66.500, per gli Euro Fighter e i Tornado 32.000 Euro, Euro 19.000 per l’F-16, Euro 11.500 per il C-130 “Hercules” e solo10.000 Euro per l’Harrier.

Se si fa una media e si moltiplica il costo ora per il numero di ore volate si arriva alla cifra di circa 240 milioni di euro. Poi c’è la spesa per le bombe che andrebbero ricomprate visto che l’intervento in Libia ha eliminato l’80% delle nostre munizioni.
Ogni bomba a guida laser o GPS costa da 30.000 a 50.000 euro. I missili teleguidati costano da 150.000 Euro a 300.000 Euro. Se moltiplicate le 710 bombe sganciate per un valore medio di 75.000 Euro arrivate a 53 milioni e 250.000 Euro.
In più bisogna aggiungere le spese per i servizi di terra, i pezzi di ricambio, le indennità speciali pagate al personale, gli alloggiamenti e le mense per il personale straniero, il logoramento dei mezzi usati. E’ probabile pensare che le spese complessive per l’intervento del nostro Paese in Libia corrispondano ad almeno 350 milioni di Euro.

C'è la crisi e lo Stato è indebitato.
Con 350 milioni di Euro si potevano costruire 350 scuole;
oppure 175 ospedali;
oppure 100 scuole, 100 ospedali e 10 carceri.

(continua domani)

I&W

19 gennaio 2012

La Costa Concordia

In questi giorni l’Italia sembra una replica della Vita in Diretta, il programma contenitore della RAI dove, come nel peggiore degli incubi, trovi lo stesso psicologo, il solito tuttologo, il cosiddetto esperto, il sessuologo e l’ex-presidentessa della Camera: tutti hanno da dire qualcosa e ognuno butta lì il suo commento, che si tratti di Parolisi o della Costa Concordia, diventano tutti ispettori o ammiragli in pochi secondi.

La cosa triste è che nessun canale televisivo e nessun giornale, sottolineo nessuno, è sfuggito alla regola del gossip, del buttare il mostro in prima pagina, dell'intervista-scandalo al passeggero, del commento redatto prima ancora di avere delle informazioni certe e raccolte con rigore.
L’importante per i giornalisti alla moda è vendere, fare ascolti, avere tot lettori del blog per poter fatturare sempre più pubblicità e nuove rubriche.

C'è un coro assordante di commenti e, ancora, un'edizione speciale di luoghi comuni.

Così appare il nostro amatissimo Paese dalla sponda lontana di Italy & World:
straziato nel suo corpo meraviglioso dal relitto della nave affondata, retaggio di morte e dolorose ferite.

E la tragedia della Costa Concordia in bilico tra le acque diventa la metafora dell'Italia di oggi.

Paolo Giunta La Spada

17 gennaio 2012

Attacco all’Italia.

L’ho già scritto in “Vivere pericolosamente”: nel mondo abitato da più di 7 miliardi di persone è in atto una guerra per impossessarsi delle risorse residue del pianeta. Chi ha potere e denaro cerca di espandere il suo dominio e la lotta è feroce e senza esclusione di colpi a scapito dei diritti umani e delle libertà democratiche dei popoli.

Sorprende che l’Italia sia arrivata ad accumulare miliardi di debito senza fare niente per anni e anni. La tripla BBB data da Standard & Poors all’Italia è la stessa che hanno Paesi come Irlanda, Perù, Russia, Tailandia, Tunisia, Turchia, Panama, Messico, Croazia, Colombia, Marocco e Kazakistan.

Ma sorprende ancor di più che due Paesi, USA e UK, che hanno un debito simile a quello dell’Italia e un apparato industriale in parte vetusto e inadeguato, abbiano ancora oggi valutazioni altamente positive da parte delle agenzie di rating: doppia A per gli americani e tripla A per il Regno Unito! Viene il sospetto che queste agenzie siano più che al servizio della libertà di mercato al soldo dei loro mercati.

Tutta la verità su S&P.

Standard & Poor’s, è una azienda che fa parte del gruppo americano dell’editoria e dell’informazione Mc Graw Hill, quotato in Borsa. I suoi maggiori azionisti sono Capital World Investors, una delle più grandi società di gestioni fondi negli Usa, con il 12,45% delle azioni. Poi ci sono altre società di investimenti finanziari come State Street con il 4,39%, Vanguard con il 4,22%, BlackRock con il 3,89%, Oppenheimer Funds con il 3,84%, T. Rowe con il 3,36%, JANA Partners con il 2,95%. Il signor Harold Mc Graw detiene una quota del 3,96% ed è presidente e amministratore delegato della società. Il gruppo è amministrato da un consiglio composto da Sir Winfried Bischoff del Lloyds Banking Group e da ex-esponenti di Coca Cola, British Telecom ed altre società del mondo industriale inglese e americano. Il 15 settembre 2008, giorno del fallimento della più grande investment bank del mondo, Lehman Brothers, i risparmiatori avevano fatto affidamento sulla tripla A data alla banca dalle agenzie di rating S&P e Moody's.

Anche Moody’s è controllata da grandi gruppi della finanza e del banking inglese e americano. L’americano Warren Buffett, grande speculatore e terzo uomo più ricco del mondo, detiene il 12,42% della società con la sua Berkshire Hathaway. Si stima che, con i suoi 48 miliardi di dollari di patrimonio e grazie agli investimenti degli ultimi giorni, stia per superare Bill Gates al primo posto delle persone più ricche del pianeta. Gli altri proprietari di Moody’s sono banche e società di servizi finanziari: Capital World Investors, con il 12,33%, ValueAct Capital con il 6,06%, T. Rowe con il 5,92%, Vanguard con il 3,35%, State Street, con il 3,35% e BlackRock, 3,27%. Nel consiglio di amministratore di Moody’s sono presenti ex dirigenti di banche come Citigroup e ING ed ex- amministratori di grandi aziende multinazionali americane.

In pratica Standard & Poor’s e Moody’s, le maggiori società di rating del mondo che hanno degradato l’Italia nel ranking finanziario internazionale, sono dirette dagli stessi uomini che decidono di manovrare con movimenti speculativi contro il nostro Paese.

L'attacco all'Euro.

All’inizio dell’anno 2012 è iniziato in grande stile un nuovo attacco all’Euro. I grandi gruppi di investitori inglesi e americani hanno venduto miliardi di Euro e subito dopo Standard&Poor’s ha degradato vari paesi europei, cioè i detentori dell'Euro. Fra qualche tempo, quando la corsa al ribasso dell’Euro si sarà fermata, gli stessi “investitori”, quando e come vorranno, ricompreranno Euro a prezzi stracciati realizzando immensi guadagni.

In Italia si continuerà a discutere delle diverse prospettive: c’è chi pensa di poter ripristinare le condizioni che permisero il boom economico 1958-1962 con la liberalizzazione totale della normativa sul lavoro: in pratica, diventare noi i “cinesi”. Chi crede alla creazione di esenzioni fiscali a fini di investimenti produttivi finalizzati alla promozione delle eccellenze di territorio. Chi vorrebbe l’assistenza sanitaria privatizzata con la chiusura delle ASL che così come sono non servono a nessuno. Chi punta l’indice sul ridimensionamento del parassitismo burocratico e di Stato e su una nuova normativa per cui i dirigenti pubblici di qualsiasi grado non guadagnino più di 5 volte quel che guadagna l'ultimo dei loro dipendenti (adesso guadagnano anche 100, 200 o 500 volte di più). Chi chiede a gran voce di dimezzare i costi della politica e di eliminare province e Senato.

Inglesi: fuori o dentro, please!

Gli italiani devono rendersi conto che la crisi è “occidentale”. Infatti l’Africa, il Far East asiatico e la Cina, il Sud America col Brasile crescono e crescono tanto. Salvare l’Italia potrebbe significare dover rinunciare all’Europa. Oppure rimanere in Europa, ma con una capacità decisionale che solo oggi, dopo la lunga "estate" del berlusconismo, l’Italia inizia ad avere e forse non è ancora sufficiente ed incisiva. Chiedere anzitutto regole più chiare per tutti: non è accettabile che il Regno Unito stia con un piede dentro l’Europa e con l’altro faccia azione di sabotaggio.

La bocciatura di S&P mostra la difficoltà dell'Italia a finanziarsi sui mercati per pagare i 70 miliardi l’anno di interesse sul debito. Ma sono proprio le agenzie di rating che, con la bocciatura di un Paese, contribuiscono in modo radicale al suo fallimento.
Sembra che i sostenitori del libero mercato non vogliano lasciarlo libero veramente. Una volta le invasioni si facevano con l’esercito coloniale, oggi si fanno con l’appoggio tattico di Standard&Poors e Moody’s.

Paolo Giunta La Spada

15 gennaio 2012

L'allerta a Nairobi in Kenya

A Nairobi cresce l'allerta terrorismo dopo che Al-Qaeda ha dichiarato la jihad contro il Kenya in seguito all'invasione della Somalia, iniziata più di due mesi fa, ad opera dell'esercito kenyano.

Le truppe kenyane stanno cercando di eliminare o respingere i gruppi di islamisti radicali di Al-Shaabab responsabili di sequestri e attacchi a civili nel Nord del Kenya.

6 gennaio 2012

Nella calza della Befana.

Nella calza della Befana:
abolizione del Senato, un inutile e antiquato doppione della Camera.
Dimezzati gli stipendi dei parlamentari. Salario dei dipendenti della Presidenza del Consiglio e delle due Camere riportato alla media di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione
Dimezzati i “posti” della politica: province subito abolite con il personale che va in pensione non sostituito; quello delle nuove province inutili sotto i 200.000 abitanti che torna gradualmente a fare il mestiere che faceva prima.
Nuova legge elettorale (alla tedesca andrebbe benissimo).
Legge sul conflitto di interesse e contro il monopolio dei mezzi di informazione.

Che aspettiamo?

5 gennaio 2012

La trappola. Seconda parte.

Sulle intenzioni di voto degli italiani oggi, 5 gennaio 2012, non ci sono molti riferimenti affidabili. L’unico sondaggio disponibile è di “Scenari politici” che però è proprietà dell’ex-premier Berlusconi. Il PD è dato vincente come nelle proiezioni di novembre scorso, ma in flessione di un punto. Il PDL sarebbe il secondo partito, ma in aumento di circa un punto.
Tutto ciò in un mese e mezzo di governo Monti.

Ricordate il giorno delle dimissioni di Berlusconi?
Gli italiani iniziano a dimenticare quel giorno e tutte le promesse non mantenute, lo stato disastroso dei conti e l’incapacità manifesta a prendere misure economiche anti-crisi, la Ruby nipote di Mubarak affidata ai “servizi sociali della Minetti”, le ragazze di Via Olgettina, le figuracce del premier a livello internazionale e l’immagine dell’Italia infangata, le mitragliate ai pescatori italiani di Mazara del Vallo e la disastrosa politica estera, il caos a Lampedusa, le leggi ad personam e gli Scilipoti comprati.
Insomma è iniziata l’”Operazione Dimenticare Sempre” portata avanti dal sempre florido sistema mediatico dell’ex-premier.
Del resto nell’Italia del premier Monti il mondo dell’informazione è ancora nelle mani di Berlusconi e l’ex-premier, lungi dallo scomparire di scena, si incontra con il Presidente della Rai, Lorenza Lei, per nominare un sostituto di Minzolini che svolga lo stesso ruolo di sostegno al PDL svolto dall’Augusto ex-direttore del TG1.

Sono numerosi i sondaggi sul Presidente del Consiglio Mario Monti.
Per Euromedia Research:

http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/asp/visualizza_sondaggio.asp?idsondaggio=5123

la fiducia nei confronti del Presidente Monti era al 66,8 il 18 novembre ed era scesa al 46,3 il 17 dicembre. Immagino che oggi, a gennaio 2012, sia scesa ulteriormente a causa dell’appoggio politico sempre più incerto dei partiti politici e dei “colpi di cannone” sparati dal sistema mediatico.
Eppure il “cambio” c’è stato eccome e si sente: dai capelli finti con promesse non mantenute allo stile sobrio del professore che, in un mese, ha fatto più dell’ultimo governo dell’ex-premier in tre anni e mezzo.
Sembra che, in un quadro di acuto pessimismo sulla crisi economica, si abbia fiducia nella capacità di “salvare” l’Italia nei conti pubblici, ma non si è convinti della possibilità di farla ricrescere in così poco tempo. La recessione è più alta in Italia che in qualsiasi altro Paese del mondo (Grecia esclusa), ma questo gli italiani non lo sanno grazie al sistema dell’informazione manipolato.
Bisogna "essere ottimisti"...

Anch’io sono ottimista sulla capacità degli italiani di lavorare duramente e in modo creativo, di fare impresa e produrre reddito. Non siamo mai stati un popolo che “sta a guardare”.
Rimango perplesso, invece, sull’equità nella distribuzione dei sacrifici. Gli italiani non amano la tassa sulla prima e, spesso unica, casa.
Gli italiani si aspettano un dimezzamento dei costi della politica.
1) Cominciamo con l’abolizione del Senato, un inutile e antiquato doppione della Camera.
2) Dimezziamo gli stipendi dei parlamentari e riportiamo il salario dei dipendenti della Presidenza del Consiglio e delle due Camere alla media di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione
3) Dimezziamo i “posti” della politica: province subito abolite con il personale che va in pensione non sostituito; quello delle nuove province inutili sotto i 200.000 che torna a fare il mestiere che faceva prima.
E’ su questi aspetti che oggi si gioca la sorte politica del governo Monti. Non ho dubbi sulla sua capacità di risanare il Paese a livello “contabile”, perfino Tremonti al riguardo aveva fornito una discreta prova di ragioneria centrale. Quello che auspico è che il prof. Monti sappia parlare al paese consapevole del grave processo che la società italiana sta vivendo. Secondo un sondaggio dell’ISPO pubblicato il 9 dicembre 2011 gli italiani mostrano infatti i seguenti parametri di fiducia:

Carabinieri 86
Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano 83
Forze Armate 79
Presidente del Consiglio Mario Monti 64
Scuola e Università 64
Chiesa cattolica 63
Magistratura 55
Unione Europea 50
RAI 41
Mediaset 35
Sindacato 31
Parlamento 22
Borsa 21
Banche 20
Partiti politici 7

http://www.sondaggipoliticoelettorali.it/asp/visualizza_sondaggio.asp?idsondaggio=5138

Si guardi alla scarna fiducia che riscuotono i partiti politici e il Parlamento che dovrebbero costituire il cuore pulsante del sistema democratico italiano.
Si pensi ai sindacati che spesso sono diventati parte integrante del sistema clientelare nazionale.
Non ci può essere salvezza dell’Italia senza una virata morale e politica che cancelli le annose distorsioni del suo sistema. Ne cito due, tra le tante:
- crescita di un ceto politico parassitario e strapagato nelle province, nelle Regioni, nelle istituzioni dello Stato e in migliaia di enti inutili;
- regime fiscale iniquo che colpisce i più deboli e lascia libertà di evasione dalle tasse ai cosiddetti “furbi” che, denunciando poco, rubano a chi lo meriterebbe il posto di lavoro al collocamento, l’assegnazione dell’asilo nido per il figlio piccolo, la mensa universitaria gratis per il figlio grande;

Secondo lo stesso sondaggio in soli 10 giorni (dal 23 novembre al 5 dicembre) la fiducia in Monti, pur sempre alta, è scesa dal 73% al 64%.

La trappola è scattata.

La Sinistra italiana, all’apice della crisi dello scorso novembre e con il governo Berlusconi al massimo della sua incapacità e caduta d’immagine, non ha chiesto le elezioni e non ha pensato che poteva scattare la trappola che ho già descritto il 1°gennaio scorso.

Non lo fatto per due ragioni: una, nobile, per evitare al Paese il rischio e le lungaggini burocratiche di una campagna elettorale prossima alla guerra civile e influenzata dalle speculazioni di mercato.
L’altra, assai meno nobile, è che la Sinistra ancora non ha unità ed è divisa in almeno 10 partiti. Il PD è diviso al suo interno tra diverse correnti e poi esistono una quantità di sigle, l’ultima è quella del Movimento 5 Stelle, che sembrano avere come unico obiettivo quello di spaccare il PD e il Centro-Sinistra nel suo complesso. Prevale l’incapacità di capire che la politica è fondata sul realismo e si diffonde un nuovo qualunquismo, quello di sinistra, tanto nefasto quanto quello becero di destra.
Ci sono dei leader validi, ma non c’è un leader in grado di “fare presa” sul popolo come è stato capace di fare, pur sostenuto da un possente impero mediatico, l’ex-premier.
Pur non dichiarandolo la Destra ha già fatto scattare la trappola nei confronti del governo Monti. All’Estrema Sinistra sono tutti contro il governo per ragioni ideologiche e fanno la gara dell’opposizione con la Lega. I ceti privilegiati e gli evasori fiscali di ogni razza coltivano le seduzione della vecchia politica.

Per ora i tagli alla spesa hanno colpito tutti senza rimuovere gli sprechi in modo chirurgico.
La trappola per l’Italia, se non si tagliano i costi della politica, è già scattata.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

1 gennaio 2012

Scrivere a Italy & World.

Italy & World è nato poco meno di 2 anni fa.
Vuole essere un piccolo contributo alla riflessione sull'Italia con un occhio agli orizzonti del mondo e qualche riferimento speciale all'Africa.

Viviamo un'epoca di scarsa libertà di stampa ed espressione: i "grandi" monopolizzano l'informazione ed esistono pochi spazi di autentica libertà e di autonoma osservazione della realtà.

Oggi è inserita, per la prima volta nella storia di I&W, la funzione dei commenti. C'è stata solo nei primi giorni di vita del blog e poi è stata rimossa perchè troppo complicata. Spero che la nuova forma sia più semplice.

Dipende da voi se sarà mantenuta o se si tornerà alla consueta versione del "libro elettronico".

In particolare siete invitati a scrivere i vostri commenti al post del 1° gennaio La Trappola e a partecipare anche al relativo sondaggio.

Altre info: in fondo alla home page in basso c'è anche la classifica dei post più letti e amati di Italy & World: vince "Maschio e Femmina in Africa". Se non l'avete mai letto è un'occasione per farlo.

Aspetto consigli e suggerimenti da tutti voi: grazie.
Buon anno!
PGLS

La trappola

Il Washington Post del 27 dicembre 2011

(http://www.washingtonpost.com/opinions/italys-uphill-financial-fight/2011/12/23/gIQAJhETJP_story.html)

sostiene che l’economia del mondo non può reggere se l’Europa non risolve la sua crisi e che l’Europa non potrà risolverla se l’Italia non metterà in ordine il suo dissesto finanziario.
In Italia siamo sull’orlo del fallimento da tempo e non per la sola responsabilità dell’ultimo governo. Però responsabilità del governo Berlusconi è stata quella di non aver mai fatto nulla per il bene del Paese, ma di aver pensato solo al mantenimento del proprio potere e dei propri privilegi. Inoltre l’ex-premier ha anche la grave colpa di aver snaturato la struttura liberale e democratica del Paese con leggi ad personam che hanno favorito le sue aziende e i suoi uomini e di aver infangato l’immagine dell’Italia in tutto il mondo con uno stile di vita immorale e ridicolo non in linea con il buon nome della più alta carica della nazione. Il caso di Ruby, “nipote di Mubarak”, fu solo un esempio della lunga lista di “affari”, incidenti e brutte figure che l’ex-premier collezionò prima delle sue dimissioni dovute all’incapacità di rappresentare il Paese con la credibilità necessaria in sede internazionale.

Ce la farà l’Italia a mettere in ordine i propri conti e ad evitare il fallimento finale?

Le prime mosse del governo Monti sono in linea con l’esigenza di risanare i conti pubblici, ma sono apparse senza fantasia. A pagare sono sempre gli stessi, già massacrati dalle manovre del precedente governo Berlusconi. Eppure si sono create nel Paese nuove vibranti speranze: lo stile sobrio del professor Monti piace e convince, e molti confidano nelle misure “Cresci Italia” che il governo ha in mente di promuovere, pur senza risorse finanziarie, entro questo mese di gennaio.

D’altro canto l’avvento del governo Monti è parso anche una trappola ordita da Berlusconi: è stato come se il padrone di Mediaset avesse pensato quanto segue:
1) i sondaggi mi danno perdente con il PD che ha sorpassato il PDL, meglio quindi evitare le elezioni, piuttosto dò le dimissioni;
2) il nuovo governo Monti avrà l’arduo compito di tassare, prelevare, controllare. Se avrà successo cercherò di far vedere una presunta continuità col mio governo. Se invece dovesse fallire, come credo, gli sparerò contro tutta l’artiglieria del mio apparato politico e mediatico. Dopotutto chi è il prof. Monti che non possiede neanche un ciclostile davanti a me che ho migliaia di uomini piazzati in tutti i centri del potere in Italia, RAI compresa, e possiedo televisioni, radio, banche, giornali, società di calcio e case editrici?
3) Il governo Monti spaccherà la Sinistra. Infatti il PD è caduto nella trappola: pur di liberarsi di me hanno appoggiato Monti. Il giorno delle mie dimissioni molti di loro brindavano perché, come al solito, non hanno capito niente. Monti farà riforme impopolari e il PD perderà la sua base, pezzo a pezzo, già sta succedendo.
4) Certo mi dispiace un po’ per l’atteggiamento della Lega. Erano in caduta libera e ora, grazie all’opposizione, si riprenderanno anche nei sondaggi. Ma tanto li aspetto al varco: senza di me al governo non ci torneranno mai. E poi stanno sempre più antipatici a tutti e so io quanto li ho dovuti sopportare con i loro ricatti. Ma si sa: in "affari" io e loro ci metteremo sempre d’accordo.
5) Devo solo decidere se rimanere in campo o se passare la mano al fido Angelino Alfano, mia creatura e docile strumento nelle mie mani. Fra un anno e mezzo, tra tasse e sacrifici e con l’Euro in crisi, di Monti non vorrà saperne più nessuno e il PDL rivincerà le elezioni.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

1° gennaio 2012