22 agosto 2013

Egitto. Fine Agosto.


Fine Agosto.

La prima volta che sono stato in Egitto, alla fine degli anni 70, avevo chiesto ad un'amica residente al Cairo il nome di un taxi driver che mi potesse aiutare durante la visita.
Così conobbi Hamza.
La prima volta che lo vidi mi pentii  di aver chiesto aiuto alla mia amica Simona. 
In effetti Hamza era piccolo, magrissimo, sembrava un po' zoppo, e in effetti lo era, aveva la mano rattrappita e parte del braccio destro deforme, portava spessi occhiali da vista. 
Tutto poteva sembrare meno che un abile tassista privato che mi avrebbe fatto da guida per la città.
Dovetti ricredermi.
Hamza era sicuro di sè e molto abile nella guida, sempre gentile, calmo, discreto. 
L'handicap alla mano, piuttosto che essere di impedimento alla guida costituiva una sorta di stimolo ad una maggiore precisione nelle manovre. Per lui non c'era un parcheggio impossibile. 
Con lui Cairo divenne una città familiare, conosciuta in ogni suo angolo. Dalle botteghe beduine sulle stradine sterrate del Kan El Kalili al lungo Nilo dei quartier periferici, dal centro delle pasticcerie greche ai quartieri delle moschee, dalla città "morta", a Saqqara e alle piramidi di Giza, caffè dopo caffè, albergo dopo albergo, vicoli pieni di gente vociante, strade polverosissime, mercati fatti di odori, colori e suoni della lingua araba che si parla con l'accento tipico dell'Egitto.

Tornai al Cairo nell'inverno del 1982 e poi nel giugno del 1983 per accompagnare tre studenti della Scuola Italiana di Al-Khobar, Arabia Saudita, scuola dove insegnavo e che dirigevo, a fare gli esami di idoneità alla classe seconda del Liceo Scientifico. L'esame si svolse nel Liceo Scientifico italiano riconosciuto, che allora era diretto dalle Suore italiane.

Come sempre c'era Hamza.

Sono tornato al Cairo molte volte e c'era sempre Hamza con me, con la sua vecchia FIAT 128 verde scuro, lucida, curatissima, senza un granello di polvere. 
In tanti anni non l'ho mai visto fare un secondo di ritardo.
Aveva una visione politica distorta comune a quasi tutti gli egiziani: qualsiasi problema si considerasse per lui la colpa era "sempre di Israele". Del resto anche la sua mano rattrappita era "colpa di Israele". Ma era contento della pace: "perchè la pace è turismo, il turismo sono soldi, e i soldi sono famiglia che mangia. La guerra è questo..." mi diceva mostrandomi la mano dilaniata.

Nel 1991 sono andato a insegnare italiano al Cairo all'Istituto Don Bosco, fresco vincitore di concorso M.A.E.. 

Con una Peugeot 405 bianca sono andato a scuola tutti i giorni, ho girato per tre anni tutto l'Egitto, ho fatto la corte alla ragazza che poi è diventata mia moglie e lunghi viaggi nel deserto del Sinai, ma quando c'erano amici che mi venivano a trovare Hamza mi aiutava spesso per organizzare visite e gite, e quando sono andato all'aeroporto per l'ultima volta prima di partire per l'Etiopia c'era ancora Hamza con la 128 verde. 

Ogni volta mi sussurrava in inglese: "qui si fanno le elezioni, ma il candidato è unico, vince sempre Mubarak". 
"In Egitto non cambierà mai niente" mi diceva con aria sconsolata.  
"Addio Mr. Paolo" mi disse per l'ultima volta. 

Ho rivisto Hamza dopo molti anni, quando dovetti recarmi al Cairo per fare il Presidente degli Esami di Stato al Don Bosco di Cairo e di Alessandria. 
Hamza aveva ancora la 128 verde, si era comprato altre due auto e aveva due giovani autisti che l'aiutavano, sembrava aver fatto i soldi. Per me veniva sempre e solo lui, non mandava mai i suoi autisti.

Sono 16 anni che non lo vedo e gli ho telefonato una settimana fa. Vive sempre in centro. Parliamo con molta gentilezza dei reciproci ricordi. Mi racconta che ora non lavora più e che "l'Egitto è finito", ma che i 4 figli si sono sistemati tutti. Proprio tutti no, dice Hamza, c'è un problema con il più piccolo che lavorava bene con il governo, ma un giorno la Polizia se l'è portato via e non si sa ancora dov'è, ma è al Cairo. Mi chiede quando vado in Egitto la prossima volta. Gli chiedo che cosa pensa di tutto quello che sta succedendo nel suo Paese. Lui mi dice che "era meglio Mubarak" e risento la stessa voce sconsolata di quando tanti anni prima si lamentava che c'era sempre Mubarak e non cambiava mai nulla. 
La Fiat 128 ce l'ha ancora e va ancora bene e funziona anche l'aria condizionata che per un periodo si era rotta.

Ho vissuto al Cairo tre anni della mia vita. Per due anni nell'isola di Zamalek, in una casa che aveva una grande terrazza con una splendida vista sul Nilo. Poi, un anno, nel quartiere di Mohandessin. Dell'Egitto ho bellissimi ricordi. I viaggi in Sinai e nel deserto, i villaggi delle oasi, il mondo contadino, i templi antichi, l'eccitazione febbrile di ogni Ramadan, la simpatia degli egiziani.  
Anche di Cairo, città invivibile per il traffico, la polvere e il rumore, ho bei ricordi. 
Le passeggiate a Zamalek, i quartieri dei primi del Novecento, i caffè del centro, il vicolo dei fiorai dove compravo le rose, il profumatissimo pane baladi venduto per strada, i ristoranti sul Nilo, le visite a Nadia Leoncavallo, la nipote del grande musicista, gli amici egiziani, i miei ex-studenti, simpaticissimi. 
Posso dire che io e mia moglie dobbiamo molto all'Egitto: lì ci siamo incontrati e innamorati. Noi abbiamo sempre pensato e ancora oggi pensiamo all'Egitto come a un luogo magico. 

Vedere la sofferenza che sta vivendo ora il popolo egiziano ci arreca un grande dolore... 


© RIPRODUZIONE RISERVATA PAOLO GIUNTA LA SPADA


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(continua)


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