29 settembre 2012

Il "nuovo che avanza".

C’è un grande dibattito oggi sul “nuovo che avanza”. Sembra di essere tornati al 1992. Scandali, inchieste, e nuovo che avanza oggi come allora.
Allora avanzò così tanto che un Berlusconi, dico “un Berlusconi”, andò al governo e, salvo brevi intermezzi, ci restò fino a novembre 2011.
Assomiglia anche al 1919-1921 quando molti, tra uno sciopero e l’altro, si aspettavano l’abbattimento della classe politica liberale e invece ebbero, dal 28 ottobre 1922 in poi, l’abbattimento dello Stato liberale.
In effetti di rottamatori ce ne sono sempre stati tanti, in ogni epoca, e l’antipolitica l’ha cavalcata Mussolini, l’Uomo Qualunque, la Lega, Berlusconi, Grillo, perfino Renzi.

Non mi fraintendete: di non vedere più al telegiornale e in Parlamento le solite facce sarei felice, anzi, come ho già detto in numerosi post dello scorso inverno, mi piacerebbe vedere azzerata l’intera classe politica italiana.
Ma con chi dovremmo sostituire i mediocri politici di oggi?
Animato da speranza ho navigato a lungo nel blog di Grillo e del Movimento 5 Stelle e, mi spiace dirlo, ho concluso che non è un’organizzazione democratica. Forse può migliorare, la mia è un’opinione relativa ad oggi 30 settembre 2012.
Inoltre la qualità dei dibattiti nel sito, anche se su molti argomenti i 5 Stelle esprimono idee interessanti, è bassa.
In effetti un conto è articolare la pars destruens, in questo non solo Grillo ma tutti gli italiani sono bravissimi, un conto è governare l’economia, l’industria, l’agricoltura, il turismo, la ricerca scientifica, l’istruzione, la sanità, i servizi per i cittadini, la nettezza urbana, lo sviluppo delle infrastrutture e i tagli alla spesa, lo smaltimento dei rifiuti, i diritti civili, il fisco.

A chiacchiere sono tutti bravi: usare i soldi dello stato, e decidere quanto prende di stipendio tizio e caio, è un’altra storia.
E’ inquietante il fatto che nei rappresentanti del Movimento 5 Stelle manca la preparazione politica-amministrativa- storica- giuridica e che il capo assoluto non si possa contattare.
Ma quello che preoccupa di più è che, pur di essere eletti in Parlamento sfruttando la grande ventata di novità, si infiltrino nel Movimento furbi e furbetti di ogni tipo.
Infatti per iscriversi al 5 Stelle bastano pochi clic di mouse e per candidarsi altrettanto.
Grillo dice che è la rete a decidere, giusto, ma nei territori dove non c’è nessuno potranno candidarsi anche degli imbecilli, non tutte le province sono come Parma o Genova, e non tutta l’Italia è come l’Emilia o la Liguria così piene di 5 Stelle ben conosciuti e poi non credo che pochi colpi di clic siano sufficienti a definire la preparazione, l’onestà e la capacità professionale di una persona.
Inoltre il programma 5 Stelle appare lacunoso e, in alcuni campi come la politica estera, del tutto carente.
Non basta fare qualche battuta contro l’euro e gettare un po’ di antieuropeismo qui e là per governare un Paese complicato come l’Italia e gestire le relazioni internazionali.

Sono contro Grillo? No, al contrario e, l’ho già scritto, auspico che lui moderi i toni e diventi più costruttivo, e i partiti di Sinistra siano capaci di dialogare con il 5 Stelle, ma come sapete tutto ciò è un’utopia: la Sinistra eccelle nella divisività e nel perseguimento dei singoli interessi personali.

Infatti in Italia siamo o con, o contro, e ogni avversario politico diventa sempre un nemico da abbattere e cancellare.
Per me sono da cancellare solo coloro che vorrebbero annientare la basi delle nostre istituzioni democratiche e liberali. Voi mi direte “quali istituzioni? Ma che dice questo?”
Mi pare di sentirvi…
Il fatto è che l’elenco di quelli che sono contro le nostre istituzioni è lungo: al primo posto metto i fascisti, fosse per loro tornerebbero alle più bieche ideologie razziste e totalitarie, all’economia chiusa, autarchica, alla fame, all’imbecillità della censura, alle violenze, ai crimini contro l’umanità.

Ma anche i comunisti non è che ai tempi di Stalin, e non solo, fossero tanto patriottici: dagli giù all’Italia pure loro; e chi li vedeva mai con un tricolore in mano? E ora che la bandiera rossa non va tanto di moda c’è la bandiera arcobaleno. Il tricolore mai…

Non parliamo dei cattolici che si sentono italiani, nel senso di cittadini di un libero Stato solo fino a quando lo Stato odora di acqua santa e incenso, si insegna la religione nelle scuole, e si ricevono miliardi per gli istituti privati ed esenzioni dalle tasse. Quanto al passato lasciamo perdere: siamo passati dalla scomunica dell’Italia alla presa del potere in Italia, ma delle istituzioni democratiche e liberali e dell’Italia i cattolici non sanno che farsene, per loro è importante la finestra che s’affaccia a Piazza San Pietro…

Poi c’è il “partito della pagnotta” costituito da quelli che fanno affari con tutti anche se gli affari sono sporchi o indegni, o lesivi del prestigio e dell’immagine delle istituzioni, insomma quelli che “magnano” e sono tanti in tutti i partiti e in tanti carrozzoni, e anche sindacali.

Poi ci sono i politici tutti che predicano contro l’antipolitica ma loro, immobili nei loro privilegi, con pensioni d’oro e vitalizi feudali, sono in realtà i veri anti-italiani, sono la vera anti-politica, sono l’Italia che non cambierà mai.

Poi ci sono coloro che negano l’identità nazionale: la Lega Nord in testa, che insultano il tricolore e stanno seduti quando c’è l’inno, ma anche i vari regionalisti non scherzano mica, chi vuole tornare ai Borboni, chi vagheggia Cecco Beppe, chi la Serenissima.

Insomma tutti contro l’Italia e i risultati si vedono.

Infatti se vi fate un giro all’estero gli stranieri vi chiedono: perché gli italiani parlano sempre male dell’Italia?
Gli stranieri, a forza di ascoltarci parlar male, si sono convinti, addirittura più di noi, che in Italia ci sono solo mafia e camorra, non capiscono perché un furbastro e miliardario, incapace di governare, come Berlusconi, sia stato votato per 4 legislature, o perché un ex-comico che parla a bestemmie e parolacce come Grillo sia l’ultima “speranza” per molti italiani che vogliono cambiare.

Come si fa a pensare di vendere il Made in Italy in senso globale, non solo auto vestiti e tagliatelle, ma anche il sistema Paese con tutte le sue articolazioni e i suoi talenti, se noi siamo i primi a far cattiva pubblicità?
Ancora una volta tutti contro l’Italia.

Eppure questa Italia è venuta dal nulla e in 150 anni, nonostante i Savoia e le loro politiche, è cresciuta molto e, dopo il fascismo che l’ha portata alla catastrofe, è diventata, con le istituzioni democratiche e liberali che io amo e che in tanti volete distruggere, una delle nazioni più floride del mondo e forse, nonostante la cementificazione selvaggia, rimane uno dei posti più belli del pianeta, e certamente quello in cui è leggibile l’avventura culturale, sentimentale ed estetica più straordinaria del genere umano.

Il vero anticonformismo oggi, il mio “nuovo che avanza”, che sarebbe veramente rivoluzionario, consiste nel credere nell’Italia democratica, antifascista e liberale che non è mai stata realizzata o che, quando realizzata, ha subito attacchi o ha conosciuto regressioni. Al servizio del nostro Paese e contro tutte le mafie e tutti i fascismi. Sempre. Questa è la mia rivoluzione.

Proposte per costruire una società più libera e più giusta?

Le stesse che avete sempre letto su Italy & World.
Subito, per esempio, un dimezzamento dei costi della politica.
L’abolizione del Senato, un inutile e antiquato doppione della Camera. Il dimezzamento degli stipendi dei parlamentari. L’adeguamento immediato del salario dei dipendenti della Presidenza del Consiglio e delle due Camere alla media di tutti i dipendenti della pubblica amministrazione. Il dimezzamento delle “poltrone” della politica locale con la riduzione drastica del ceto politico strapagato nelle province, nelle regioni, nelle USL, in migliaia di enti inutili. L’abolizione di un regime fiscale iniquo che colpisce i più deboli e lascia libertà di evasione dalle tasse ai ladri che, denunciando poco, rubano a chi lo meriterebbe il posto di lavoro al collocamento, l’assegnazione dell’asilo nido per il figlio piccolo, la mensa universitaria gratis per il figlio grande. La vendita ogni anno al migliore offerente, con meccanismi antitrust e in condizioni di trasparenza, delle frequenze radiotelevisive nazionali e regionali.

Si potrebbe continuare a lungo, ma le ricette hanno bisogno di chi affetta aglio e cipolla, del cuoco che cucina e impiatta, e di chi lava i piatti alla fine.


Invece in troppi si mettono seduti a tavola facendo finta di niente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

27 settembre 2012

Nairobi half life

Nairobi Half Life è un film interessante. Spero che giri in tutta l’Africa e nel mondo, e arrivi presto anche in Italia.
La storia è semplice: un ragazzo appassionato di teatro vuole fare l’attore, così lascia il villaggio, dove il padre si ubriaca ogni sera e, deciso a mostrare il suo talento, parte per Nairobi.
Scopre che non é semplice sopravvivere nella grande città e il suo sogno diventa presto un incubo. Costretto dagli eventi entra in una gang di periferia, ma non smette di coltivare il sogno di fare l’attore di teatro: così vive mezza vita come gangster, e mezza vita come aspirante attore.
Il seguito lo vedrete al cinema.
Il film è bello e carico di adrenalina. La sceneggiatura ha avuto il contributo di Billy Kahora, che si è distinto nel 2010 all’International Film Festival di Rotterdam per il film Soul Boy, un’altra opera che “scava” nel dilemma dell’identità africana in continua mutazione. Ci ha lavorato Serah Mwihaki che è passata dal lavoro di attrice a quello di sceneggiatrice. La direzione è di David “Tosh” Gitonga, (All that way for love, 2011).
Regia, sceneggiatura e montaggio sono sapienti e ben governati. La colonna sonora è bellissima. Tra gli attori ci sono molti ragazzi di strada che recitano sè stessi. La lingua, con i sottotitoli in inglese, è uno swahili da slum difficilissimo da capire anche per i keniani.
Il racconto è a tinte forti, con tutti i colori, gli odori, i sapori e i suoni della capitale del Kenya: i quartieri periferici, il traffico, le grandi e caotiche stazioni degli autobus extraurbani, i vicoli degli slums che sono “terre di nessuno”, i caffè dove si incontrano ladri e giovanissime prostitute, le abitazioni ridotte a rifugio per chi fugge e si nasconde, o a luoghi di vizio e perversione.
Il film mostra la condizione di povertà ed estrema precarietà degli abitanti di Nairobi col punto di vista del giovane ingenuo che viene dal villaggio di campagna come un novello Candide alle prime esperienze, ma lo fa senza retorica, anzi a tratti con felici spunti di agro umorismo.
Nairobi appare come una città in preda al crimine, al caos morale, al degrado sociale.
Della città percorsa ogni anno da migliaia di turisti ed abitata da migliaia di espatriati non appare traccia: niente shopping mall perfetti, niente marciapiedi puliti, niente ristoranti e quartieri alla moda, niente Karen Blixen Museum.
Compare solo la faccia miserabile e violenta di Nairobi, e sorprende che le autorità keniane abbiano permesso la proiezione del film anche perché l’immagine della Polizia che emerge è quella di uomini violenti, corrotti, d’accordo con le gang criminali, capaci di far sparire persone o insabbiare delitti senza alcun rispetto della legalità.
Ma, al di là di queste chiare scelte di campo che pescano anche troppo nello stereotipo della “Nairobbery”, il film rivela alla fine il suo carattere salvifico e liberatorio.
Lo fa con qualche lieve e inevitabile inciampo melodrammatico, ma mantiene fino alla fine ritmo alto, pulizia del racconto e registro espressivo elevato.
La denuncia sociale è importante, ma resta la cornice accessoria del film.
Il giovane protagonista, con la sua amabile testardaggine giovanile, mostra un soffio di poetica speranza all’interno del più cupo inferno metropolitano.
Il linguaggio urbano si trasforma in poesia sovversiva e struggente.
La metropoli africana straziata diventa teatro collettivo di redenzione.
Qualcuno potrebbe paragonare il film ad un’opera giovanile di Tarantino carica di azione.
E’ meglio di un’opera di Tarantino perché oltre al racconto carico d’azione e di atmosfere torbide c’è la visione di Nairobi che è molto meglio, per originalità e ricchezza del punto di vista, della solita New York.
Molto più credibili i personaggi di Mwas, Oti e Amina, tutti ben interpretati, che ogni giorno mostrano una delle infinite realtà africane che molti europei ignorano, o vogliono ignorare.
O tengono lontane.
Un film da vedere.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

Qui sotto c'è il trailer, ma non è un gran che.

17 settembre 2012

Una storia italiana

Un criminale all’opera.

Il 5 maggio 1936 le truppe italiane agli ordini del generale Pietro Badoglio entrano in Addis Abeba.
Il 20 maggio Badoglio, a cui non sfugge la situazione di precarietà delle truppe italiane, sottoposte al costante attacco dei resistenti etiopici, rientra a Roma per riscuotere premi e donazioni, tra l’altro una sontuosa villa in Via Bruxelles a Roma.
Rodolfo Graziani viene nominato da Mussolini vicerè, governatore generale e comandante superiore delle truppe in Etiopia.
In data 8 luglio 1936, con telegramma riservato n. 8103, il dittatore Mussolini scrive a Graziani:
“Autorizzo ancora una volta Vostra Eccellenza a iniziare e condurre sistematicamente la politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e le popolazioni complici. Senza la legge del taglione al decuplo non si sana la piaga in tempo utile. Attendo conferma.”
Graziani non ha bisogno di tali sollecitazioni: lo ha dimostrato in Libia dove si è distinto per la furia cieca con cui ha devastato intere regioni e ha fatto morire migliaia di civili nei campi di concentramento della Cirenaica (in verità copiando il modello inglese di campo di prigionia per le popolazioni indigene dell'Africa coloniale).

In Etiopia, il Maresciallo dà l’ordine di usare il gas. In pochi giorni vengono sganciate sulle inermi popolazioni etiopiche 60 tonnellate di iprite e fosfogene, sono rasi al suolo e incendiati migliaia di villaggi, deportate intere popolazioni, passati per le armi centinaia di contadini che hanno la sola colpa di amare la propria Patria e di non accettare la presenza dell’invasore.
Le truppe italiane annientano le residue forze dei fratelli Cassà, di Ras Immirù e Ras Destà e nel marzo del 1937 la conquista dell’Etiopia può dirsi conclusa.
Contravvenendo alle regole di guerra per i prigionieri, Graziani fa fucilare Ras Destà, i fratelli Cassà, i sacerdoti Petros e Micael.
Il 24 febbraio del 1937 la Gazzetta del Popolo, con firma del segretario fascista Guido Pallotta, scrive: “E nello scroscio del plotone di esecuzione echeggiò la più strafottente risata fascista in faccia al mondo, la sfida più cocente alle turbe sanzioniste. Schiaffone magistrale che il Capitano Tucci (ndr.: il capitano Tucci è colui che ha catturato Ras Destà con gli ultimi 40 fuggiaschi a Maskan) menò nella maniera squadrista sulle guance imbellettate della baldracca ginevrina.”

L’attentato

Il 19 febbraio 1937 si svolge ad Addis Abeba la cerimonia di distribuzione di denaro a beneficio dei poveri. Dalla folla di straccioni si levano due giovani studenti che lanciano 8 bombe a mano di fabbricazione italiana: sette morti, una cinquantina di feriti tra cui diversi generali e lo stesso Graziani.
La rappresaglia che segue, ordinata da Graziani, è un crimine contro l’umanità.
Le diverse fonti non concordano sul numero di civili uccisi, ma è documentato che le vittime furono almeno 3.000. Con le bombe a mano, a colpi di fucile, di sbarre di ferro, o con le baionette, il massacro inizia nel primo pomeriggio del 19, dura per tutta la giornata del 20 e fino alle luci dell’alba del 21 febbraio. La parte povera della città viene interamente bruciata.
Il 21 febbraio 1937 Mussolini invia a Graziani il telegramma n. 93980:
“Nessuno dei fermi già effettuati e di quelli che si faranno deve essere rilasciato senza mio ordine. Tutti i civili e religiosi comunque sospetti devono essere passati per le armi e senza indugi. Attendo conferma.”
Il “macellaio” Graziani non delude il dittatore: ancora fucilazioni e deportazioni. Vengono uccisi perfino 70 cantastorie e indovini accusati di cantare o predire la fine della dominazione italiana sull’Etiopia.
A maggio è lui che scrive a Mussolini. Alla fine di una delle tante “giornate di lavoro” telegrafa: “oggi sono stati incendiati 115.422 tucul, tre chiese e il convento di Gheltenè Ghedem Micael”.

Debre Libanos

Il 19 maggio Graziani si presenta a Debre Libanos. Per “attaccare” il monastero non usa le truppe cristiane, ma i mussulmani libici e somali e la banda degli “eviratori”: i Galla di Mohammed Sultan.
Il 21 maggio vengono barbaramente fucilati 297 monaci, 129 diaconi, più tutta la popolazione laica di Debre Libanos per un totale di circa mille vittime. Mai nella storia d’Africa si è verificata una strage di religiosi di così vaste proporzioni.
Graziani rivendicherà con orgoglio, nel suo Memoriale, l’eliminazione del clero cristiano di Debre Libanos e di altre regioni del Paese.
Nel 1938 è tra i primi firmatari del Manifesto sulla Razza che di fatto inaugura la politica di persecuzioni razziali in Italia e nei territori delle colonie.
Altro che buon soldato...

Si potrebbe continuare a raccontare le “gesta” di Rodolfo Graziani in Etiopia a lungo, visto che la lista dei delitti commessi dal “macellaio” è lunga, quasi infinita.
Dopo i crimini commessi in Libia e in Etiopia, Graziani dimostra pessime doti di comandante in Libia nel 1941. I soldati italiani, decisamente inferiori per mezzi e numero, si battono fino all’ultima munizione contro le truppe britanniche, ma Graziani si tiene sempre lontano dal fuoco della prima linea e non sa coordinare i movimenti del fronte. Le truppe italiane vengono lasciate senza rifornimenti, né viveri, e condannate, nonostante il valore della loro straordinaria resistenza, ad essere sopraffatte.
L'11 febbraio del 1941, a causa della sua condotta e incompetenza, Graziani viene destituito da Mussolini. Il Duce vuole processarlo per codardia. Il fascista della prima ora Roberto Farinacci lo accusa di vigliaccheria. La commissione d’inchiesta del regime fascista, diretta dall'ammiraglio Paolo Thaon di Revel, conclude i lavori nel marzo 1942 senza prendere provvedimenti, ma per due anni Graziani rimane senza alcun incarico.

In Italia...

Dopo la destituzione di Mussolini del 25 luglio 1943, e dopo l’8 settembre con l’inizio dell’attività partigiana dei patrioti italiani, Graziani si distingue nuovamente. Come ministro della Repubblica Sociale Italiana non è responsabile di eccidi perpetrati a danno di popolazioni straniere. Questa volta fa massacrare i suoi stessi connazionali: gli italiani.
Ma forse l’atto più riprovevole per i suoi stessi camerati fascisti lo compie la sera del 29 aprile 1945. Nei giorni precedenti i patrioti italiani avevano chiamato all’insurrezione finale contro il nazifascismo e le città venivano liberate, una ad una, dalle colonne armate dei combattenti per la libertà.
Mentre la battaglia infuria, Graziani lascia i suoi camerati senza alcun comando e soli: già ai primi d'aprile è riuscito a stabilire contatti in gran segreto con gli Alleati. Il 29 aprile raggiunge alla chetichella il IV Corpo d’Armata statunitense al quale si consegna per sfuggire ai patrioti che lo cercano per fucilarlo. Un vero soldato dovrebbe morire con le armi in mano e non lasciare soli i camerati di tutta una vita!
Dopo un mese di reclusione a Roma viene inviato in Algeria come prigioniero di guerra presso il POW Camp n. 211 di Cap Matifou e il 16 febbraio 1946 viene rinchiuso nel carcere di Procida.
Il 5 giugno 1948 viene processato per aver fatto parte della dirigenza fascista che ha condotto la nazione alla catastrofe: è condannato a 19 anni di carcere.
Nel clima di generale amnistia dell’epoca ben 17 anni sono subito condonati. Si riconosce che "l'imputato si è limitato ad obbedire ad ordini superiori e che non poteva incidere sulle decisioni del Governo della RSI". In realtà Graziani è stato Ministro della Difesa e responsabile del bando con cui erano condannati a morte i renitenti alla leva e i partigiani (il tristemente noto “bando Graziani”).
Americani e inglesi non mostrano interesse ad incriminare Graziani, nonostante le continue richieste da parte delle autorità etiopiche che hanno fornito la documentazione relativa ai crimini di guerra perpetrati dal “macellaio”.
Infine la Commissione delle Nazioni Unite conviene che esistono le ragioni per un processo a otto ex-gerarchi fascisti incluso Graziani, ma gli sforzi per processare Graziani vengono gradualmente abbandonati anche dall’Etiopia. La ragione principale è l’appoggio che il nuovo governo italiano, democratico e antifascista, sta dando al Paese di Haile Selassie sul tema dell’annessione dell’Eritrea.

Graziani sconta così solo 4 mesi di carcere.

Il Comune di Affile, cittadina della Ciociaria dove visse a lungo dopo la guerra e la scarcerazione, gli ha dedicato un mausoleo-monumento l’11 agosto 2012.
Il Corriere della Sera ha scritto il 12 agosto: “Tra accuse e interrogazioni alla governatrice Renata Polverini, il monumento è finito nella bufera. Bloccato tra gli anni Novanta e il Duemila, il mausoleo al gerarca fascista è stato riproposto e portato avanti, da circa un anno, dal sindaco Ercole Viri”.
Per fare il mausoleo sono stati spesi 127.000 euro dei contribuenti italiani in un’epoca di profonda crisi economica e di debito statale.
Questo monumento è un’offesa ai popoli italiano, libico ed etiopico che ebbero a soffrire gli ordini insensati, le persecuzioni, gli eccidi e le stragi perpetrate da Graziani.

Noi italiani ci associamo agli etiopici e ai libici che non vogliono questo monumento e chiediamo alle più alte istituzioni di rimuoverlo, o dedicarlo NON all’autore di crimini contro l’umanità, ma al contrario alle sue vittime, all’amicizia tra i nostri popoli, alla pace conquistata con la Resistenza, all’Italia del presente e del futuro che è orgogliosa della sua civiltà e ripudia, oggi come ieri, l’orrore del fascismo e delle sue leggi razziali.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

9 settembre 2012

Ex-studenti

La cosa divertente è che i miei ex-studenti della Nigeria mi danno del tu e quelli dell'Etiopia mi danno del lei.
Infatti in Nigeria ho insegnato a metà degli anni 80, invece in Etiopia ho insegnato alla fine dei 90 e all'inizio dei 2000. Quindi ho studenti ex-Nigeria già nonni e studenti ex-Etiopia appena fidanzati, o da poco sposati.
Gli italiani sono di tutte le età e mi salutano a seconda della crisi economica del momento.
Ho perso ogni contatto con le mie prime scuole del Lazio, strette tra castagneti rigogliosi e borghi medievali che mi accoglievano fin dal mattino presto col profumo del pane caldo.
E quelle dei primi anni di ruolo in periferie devastate dal cemento con ragazze cariche dell'energia delle borgate romane e collegi docenti infiniti che duravano 8 ore al giorno e più giorni di seguito.
Ho smarrito gli arabo-sauditi dei primissimi anni 80, Scuola Italiana di Al-Khobar, Distretto di Daharan, e gli egiziani di Cairo.
Quando insegnavo nel "mitico" Istituto Don Bosco di Shoubra, Rod El Farag, nei primi 90, per firmare scacciavo nugoli di mosche dal registro, c'era un caldo pazzesco d'estate e un freddo pungente d'inverno. I Salesiani che reggevano l'istituto facevano un buon lavoro, ma usavano la mano di ferro.
La scuola era fatta di regole di un tempo remoto.
Ma gli allievi, fino a 35 per classe, erano di una simpatia unica.
Il problema è che c'erano dodici Mohammed, 7 o 8 Ahmed, 5 o 6 Mahmoud, Ali e Yasser, e io non ho mai fatto una fotocopia del registro (cosa che forse si dovrebbe fare...)
Ho nostalgia di Shoubra, Rod el Farag, a pochi metri dal Nilo, anche se ci sono tornato anni dopo come Commissario governativo.
Ho smarrito i cari cubani del Dipartimento di Lettere dell'Università di L'Avana, gli adorabili studenti del Museo di Arti Ornamentali e della Dante Alighieri di L'Avana Vecchia.
Ho nostalgia degli studenti cubani, ma loro l'Internet lo possono avere poco o nulla.
Vi abbraccio.