20 dicembre 2010

La Pista di Terra Rossa. Terza e ultima parte.



Diani, sabato 18 dicembre 2010. Water Lovers Beach Resort. Alle 5.30 del mattino, ancora buio, mezz’ora di canoa. Il mare è appena increspato, nero come petrolio con i riflessi della luna, tre quarti di luna scintillanti. Lo sciabordio delle pagaie si somma allo scroscio impetuoso e costante delle onde che si frangono sulla barriera corallina, c’è vento ed è nuvoloso. In canoa al buio è come scivolare per corridoi misteriosi e oscuri finchè si leva imperiosa la luce del sole che in prossimità dell’equatore giunge in pochi istanti. Dall’arancio, al rosa, al rosso, al bianco accecante, sono passaggi rapidi, nessuna attesa: l’improvvisa alba equatoriale.

Alle 9.00 partiamo. La pista per Shimba Hills è morbida di sabbia senza pioggia, rossa, silenziosa, deserta.

All’ingresso del parco c’è Aisha; quando chiedo: “Good morning, anybody here?” lei da casa sua, lontano dall’ufficio, si sistema i capelli, si infila qualcosa, aggiunge “One moment, please”, giacca militare mimetica su canottiera molto discinta, secca come un chiodo. Mentre sto partendo mi richiama e mi dà il suo numero di cellulare, “tante volte vi perdeste, ma non sempre c’è campo nel parco”. “E allora?” dico io.

Prendo la strada, di sabbia rossa, strettissima, cinta da una boscaglia fitta e aguzza di rovi pungenti, guida tranquilla a 20 chilometri l’ora.

L’avevo pensato il giorno prima della vacanza, forse l’avevo sognato di notte o percepito inconsciamente: cosa farei se incontrassi un elefante sulla pista? Spegnerei il motore per non innervosirlo o lo lascerei acceso pronto per una fuga; ma verso dove?

Ed ecco che cosa succede due chilometri dopo aver salutato Aisha: sto percorrendo una curva quando sono costretto ad una improvvisa frenata che, visto quello che mi compare davanti, vorrei invece assai più silenziosa, morbida e invisibile.

In realtà ho alzato una nuvola di polvere rossa. Davanti a noi un giovane maschio di elefante, belle zanne bianche, occupa l’intera pista. Non si può passare. L’emozione ci fa parlare ancora più piano del necessario. Ho la videocamera accanto e filmo per qualche secondo, spengo l’aria condizionata, abbasso i finestrini, sento il suo rumore, sta mangiando. Non spengo il motore. Mia figlia si fa avanti dal sedile di dietro per osservare meglio: siamo tutti e tre come ipnotizzati. Mi chiedo se ci sta annusando o no. Se lo sta facendo può sentire invaso il suo spazio ed essere molto pericoloso. Apre e agita le orecchie in modo nervoso, ci guarda, faccio 3 o 4 metri a marcia indietro, poi altri 5 o 6, col minimo di rumore, la pista è strettissima e sconnessa.

L’elefante si è accorto di noi, ci fissa, sembra nervoso, accenna con le orecchie aperte a caricarci, inizia per 4 o 5 metri una corsa contro di noi: l’adrenalina sale a livelli inimmaginabili e rischia di diventare paura. Con gli occhi sgranati guardiamo ogni minimo movimento dell’elefante: si ferma, mangia ancora tra le foglie sul bordo della pista. Guardo nello specchietto perché sono convinto che non sia solo, che con lui siano presenti i genitori. L’elefante si dirige ancora verso di noi, innesto di nuovo la marcia indietro pronto ad arretrare, mi fermo, la mano sul cambio perchè si ferma anche lui, mangia ancora nel verde, smuove i cespugli, infine fa qualche metro nel fitto della boscaglia. Aspetto alcuni secondi che sembrano un tempo eterno, non voglio essere precipitoso, so che sfilare davanti a lui sarà il momento più pericoloso, ma non devo neanche ritardare la partenza perché potrebbe tornare sulla strada, magari in compagnia del branco. Non lo vedo più e silenziosamente innesto le prima, poi la seconda e sfilo a pochi metri da lui. Ma mi devo rifermare subito. Davanti a noi, piazzato in mezzo alla pista, c’è uno splendido esemplare di femmina adulta, zanne grandi e integre, ci fissa, smuove la proboscide, agita le orecchie, soffia rumorosamente, ci guarda ancora. Il tempo si ferma per un po’, il silenzio è pesante. All’improvviso la madre segue il figlio per qualche metro e noi proseguiamo subito prima che ci ripensi. Non incontriamo il maschio.

La pista prosegue bellissima con alte alberature di corteccia bianca, il fondo è a tratti ruvido e pesante, a tratti morbido e polposo di sabbia fine e leggera.

Il Simba Rainforest Lodge è tutto di legno, non c’è un mattone. E’ circondato da una delle ultime foreste pluviali dell’Africa dell’Est e si specchia, coperto da rampicanti e fitte alberature fiorite, su un piccolo laghetto coperto di ninfee.

Dopo pranzo, alle 14.00, andiamo all’ufficio del Parco per chiedere un ranger armato e provare con lui a raggiungere le Shreddick Falls. Il termometro della macchina mi dà 38 gradi. Il militare di guardia mi dice che il ranger è andato a Mombasa, vede di trovarmene un altro. Fa un giro di telefonate e pochi minuti dopo arriva Lyn, ranger del Kenya Wildlife Service.

E’ una donna piuttosto giovane dalla faccia simpatica e rotonda, le treccine lunghe e curate, l’aspetto atletico, tuta verde militare e stivali di pelle nera. E’ armata di fucile G3, calibro 7,62. Sale in macchina con noi, si siede accanto a me. Dopo mezz’ora di pista veloce e polverosa fermiamo la macchina e iniziamo il breve trekking. Fa caldo, il sole è cocente. Si scende un sentiero ripido e senza vegetazione. La vista spazia sulle montagne e colline circostanti. Entriamo in una radura più umida e verde e poi, dopo un ponticello di travi di legno, iniziamo il cammino nella boscaglia. Da questo momento rimaniamo in assoluto silenzio. La prima è Lyn, segue nostra figlia, poi mia moglie, io chiudo la fila. Lyn prosegue con molta lentezza e getta lo sguardo attento nella boscaglia. Procediamo così per un po’, molto lenti, poi ci fermiamo prima di una piccola valle dove non ci sono alberi.

Avvistiamo un gruppo di elefanti. Sono sparsi e non molto vicini tra loro. E’ la stessa situazione della mattina con la differenza che ora siamo a piedi. Lyn ci avverte che userà il fucile, sparerà sulle cime degli alberi a ovest per allontanare il branco. Toglie la sicura al G3, punta e spara. Gli elefanti non si muovono, poi vanno verso est, in un tratto di foresta misto a savana. Passiamo in silenzio, dal muoversi dei rami degli alberi intuiamo il percorso del branco. Il sentiero scende ancora e la vegetazione si fa fitta e rigogliosa. Le cascate sbucano da una parete di roccia verticale, le acque sono immacolate, il bagno sotto il getto d’acqua fresco e piacevole. Lyn ci mette fretta. Ci dice che la sera scendono gruppi numerosi di elefanti, passare diventa complicato. Prima della valletta senza vegetazione la situazione è critica. Lyn spara più volte e ci nascondiamo tutti dietro l’erba alta per assistere al passaggio degli elefanti. Infine, sempre in religioso silenzio, passiamo il tratto di boscaglia e siamo sul ponte di legno. L’ultima salita prima di tornare in macchina e fare un ultimo giro mentre il sole inizia a posarsi sull’orizzonte. Ci fermiamo spesso per osservare giraffe, facoceri, splendide sable antilopes, bufali, folti gruppi di babuini. La sera nel lodge passa con i bush babies che salgono sul balcone della stanza insieme a rumorosi gruppi di colobus. Un folto gruppo di elefanti interrompe la notte per l’abbeveraggio.

Il mattino seguente all’alba riprendiamo la pista rossa che va a Kinango, sono 82 chilometri e due ore, se tutto va bene, che ci dovrebbero riportare a Samburu sulla Mombasa-Nairobi. Nessuno sulla strada, baobab imponenti e maestosi, villaggi brulicanti di vita rurale. Nessun turista viene da queste parti. La pista è a tratti dura, spezzata, pietrosa, ostile. In ogni villaggio chiediamo indicazioni sulla strada che si perde facilmente, ma non sbagliamo mai, le informazioni prese la sera prima da un vecchio ranger sono valide. Sono regioni a maggioranza mussulmana, ma le donne vestono di lilla, arancione e rosso. Il nero è inesistente. La gente è meravigliosa, gentile. Nessuna macchina, qualche camion, qualche moto, diverse biciclette. Stranieri zero. Nostra figlia parla a lungo delle esperienze vissute. Per lei è come aver letto in un solo giorno tre libri di storia, religione, scienze e geografia. Un mondo sconosciuto. Arriviamo a Samburu in due ore dopo aver evitato, sulla pista, zebre, cammelli, capre e asini.

Con altre 7 ore siamo a Nairobi.

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