15 ottobre 2014

Roma, 16 ottobre 1943.


La mattina del 26 settembre 1943 Gennaro Cappa, Capo dell'Ufficio Razza della Questura di Roma, telefona a Dante Almansi, presidente dell'Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, e all'avvocato Ugo Foà, presidente della Comunità Israelitica di Roma: alle 18.00 dovranno essere a Villa Volkonsky dove li aspetterà  il tenente colonnello Herbert Kappler, comandante delle truppe tedesche che hanno occupato Roma.

Due giorni prima, il 24 settembre, Kappler ha ricevuto un telegramma strettamente riservato dal capo della polizia tedesca, e ministro dell'Interno, Heinrich Luitpold Himmler. 

Il telegramma dice testualmente: 
“Tutti gli ebrei, senza distinzione di nazionalità, età, sesso e condizione, dovranno essere trasferiti in Germania ed ivi liquidati. Il successo dell’impresa dovrà essere assicurato mediante un'azione a sorpresa” 

Nonostante il telegramma, all'incontro del 26 settembre con Foà e Almansi,  Kappler dichiara : "... non sono le vostre vite, nè i vostri figli che vi prenderemo se adempirete alle nostre richieste. E' il vostro oro che vogliamo, per dare nuove armi al nostro esercito. Entro 36 ore dovete portarci almeno mezzo quintale d'oro puro. Se lo porterete non vi verrà fatto alcun male. In caso diverso 200 fra voi verranno presi e deportati in Germania alla frontiera russa, o altrimenti fatti fuori...”


Almansi e Foà tornano a casa preoccupati, radunano i rappresentanti della comunità ebraica, informano con apprensione le famiglie: "dobbiamo consegnare mezzo quintale d'oro in 36 ore; ci ha promesso che, così facendo, nessuno ci farà del male..."

Il Lungotevere Cenci che porta alla Sinagoga, luogo di raccolta dell'oro, si riempie presto di una lunga fila di persone in coda. 
Tutti i romani ebrei, ma anche tanti romani non ebrei, si mettono in fila per consegnare gli "ori di famiglia".   La paura di non riuscire a raggiungere il mezzo quintale entro le 36 ore è forte. Il Vaticano fa sapere al presidente della comunità ebraica che ove non fosse possibile raggiungere i 50 chili nel termine fissato  garantirebbe la quantità mancante,   ma "non è un dono, solo un prestito che la comunità  restituirà a tempo debito…” racconta l'avvocato Ugo Foà.

L'oro viene portato, come stabilito da Kappler, a Via Tasso 155, entro il termine stabilito. La pesa dell'oro, diretta dall'arrogante capitano Kurt Schutz, è lunghissima e snervante; sembra che l'oro, già pesato nella Sinagoga, non sia sufficiente e gli ebrei cominciano a provare paura per l'esito della loro missione. Ma alla fine l'oro c'è tutto, anzi è molto più del necessario.
Almansi e Foà tornano a casa, raccontano della missione compiuta e nel "ghetto" si diffonde una certa soddisfazione e tranquillità. 

Nei giorni seguenti i nazisti circondano più volte la Sinagoga e le biblioteche della comunità ebraica; se le chiavi non sono immediatamente disponibili aprono con la forza le porte, portano via tutte le opere d'arte e molti preziosi manoscritti antichi. Perquisiscono e sequestrano gli indirizzi di tutti gli ebrei nei diversi quartieri di Roma: nel "ghetto", a Monteverde, a Testaccio, a Trastevere, al Trieste-Salario, nel centro della città... 

Il 30 settembre, Capodanno del calendario ebraico, con i soldati nazisti ci sono due professori tedeschi, presunti orientalisti ed esperti di storia antica, che, nell'analizzare le antiche carte, mostrano meraviglia e ammirazione. Questi due personaggi, forse, oltre a catalogare i capolavori da requisire, avevano l'ordine  di fingere rispetto per la cultura ebraica al fine di non agitare troppo i presenti e sviare le preoccupazioni degli ebrei. 
In effetti gli ebrei si sentono tranquilli. 

Sono romani e abitano a Roma da secoli, si sentono italianissimi come gli italiani, e forse più di tanti italiani.  Moltissimi di loro sono stati fascisti fino alle leggi razziali del 1938.
Con le leggi del 17 novembre del 1938, promosse dal fascismo e firmate dal re d'Italia Vittorio Emanuele III, gli ebrei vengono licenziati da tutti gli impieghi pubblici. Nelle scuole vengono espulsi professori e studenti. Vengono limitate e gradualmente del tutto vietate le professioni libere, l'apertura dei negozi, l'impiego nelle aziende private.
Ma ora, nonostante tutto, nei 9.000 ebrei abitanti a Roma, prevale la fiducia.

E poi Kappler è stato chiaro: "nessuno di noi sarà toccato se riusciremo a consegnare almeno mezzo quintale d'oro. E' stato fatto!..." si dice la sera in ogni casa.
Prevale l'ottimismo, del resto perfino diversi fascisti, nella Roma del settembre 1943, mostrano un non totale allineamento con le disposizioni sulla razza e, inoltre, non tutti amano i tedeschi che si comportano come truppe d'occupazione arroganti anche con i "camerati" italiani.

Si fa anche affidamento sul carattere di Roma "città aperta", grazie alla presenza del Vaticano e della Chiesa cattolica.

Gli ebrei romani sono tranquilli.
Nessuno dà ascolto alle voci che girano, la sera del 15 ottobre, in alcune case del ghetto, voci riportate da una donna di servizio che parla di retate imminenti.
In realtà alle 23.00 del 15 ottobre vengono arrestati presso l'albergo Vittoria di Roma i coniugi Sterberg  Monteldi, ebrei in fuga da Trieste in possesso di passaporto svizzero e, a giudicare dai documenti in loro possesso, non ebrei; ma la notizia non trapela e non arriva alla comunità ebraica.

Alle 5.25 del mattino del giorno dopo, sabato 16 ottobre, nel ghetto quasi tutti dormono. 

Il proprietario del caffè del Portico d'Ottavia, che viene da Testaccio dove abita, ha visto parecchi tedeschi, ma non si è insospettito. Ha già accesso la macchina del caffè e sta aprendo.  
Qualcuno è uscito presto dal ghetto, è già andato a far la coda per prendere le sigarette.

Poi si sente il passo cadenzato dei militari che in pochi minuti diventano centinaia, poi gli ordini in tedesco, infine arrivano i camion. 

Il ghetto è circondato. 

Nessuno può uscire.  

370 soldati e 30 ufficiali, guidati dalle famigerate squadre speciali "Einsatzgruppen", fatte affluire dalla Polonia agli ordini del capitano delle SS Theo Dannecker, chiudono ogni accesso al ghetto. 

La prima a dare l'allarme è una ragazza, la nipote di Laurina S.: uscendo da casa in via della Reginella ha appena visto portar via un'intera famiglia con sei figli, tira dritto, ma prima di svicolare urla alla zia: "Zia, vai via, portano via tutti!..." 

Laurina capisce, non si fa troppe domande, scende in strada, ha una gamba ingessata per un incidente di qualche giorno prima, porta con sè tutte le sigarette che ha in casa. Le offre a due tedeschi, uno ha forse 25 anni, l'altro è sui 40, forse di origine austriaca o tirolese. 

Capiscono qualche parola di italiano. Laurina dice più volte "ospedale!", "ospedale!" mostrando affranta la gamba ingessata. I due militari accettano le sigarette e la fanno passare: se ne va. 
L'operazione è ancora agli inizi. 
Laurina si gira e urla alla finestra della sua vicina di casa: "Sterina! Sterina!". 
"Che c’è? Che strilli?", risponde la vicina dalla finestra. 
"Vattene, stanno a portà via tutti!" 
Sterina risponde "Vesto pupetto e scendo...", ma appena scende non ci sono più i soldati di origine austriaco-tirolese, ma una squadra di SS che fa salire lei e il pupo sul camion.

Il rastrellamento procede casa per casa. 

I nazisti temono una sollevazione popolare, hanno fresca la memoria di quello che hanno subito a Napoli 15 giorni prima, non si fidano delle reazioni degli italiani che assistono alla scena dai quartieri vicini, non vogliono intoppi nello svolgimento dell'operazione. 
Consegnano ad ogni famiglia un biglietto in tedesco e in italiano, rassicurano e raccomandano di portare un bagaglio con viveri per 8 o 9 giorni e... bicchieri... 
Si sparge la voce, che è anche una speranza: "che si  operi un temporaneo trasferimento in un luogo di lavoro!... Del resto, perchè chiederebbero di portare dei bicchieri? Perchè chiederebbero di chiudere la casa e prendere la chiave?"

Il biglietto:
1) Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti.
2) Bisogna portare con sè viveri per almeno 8 giorni, tessere annonarie, carta d'identità e bicchieri.
3) Si può portare via una valigetta con effetti e biancheria personali, coperte, eccetto danaro e gioielli.
4) Chiudere a chiave l'appartamento e prendere la chiave con sè.
5) Gli ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo.
6) Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto, la famiglia deve essere pronta per la partenza.

Nonostante le rassicurazioni, e le speranze, a chi non apre viene sfondata la porta, e molti vengono trascinati, spinti per le scale, colpiti con il calcio della pistola.
Il rastrellamento del ghetto va avanti fino alle ore 14.00. Dal ghetto  vengono portate via 1259 persone: 689 donne, 363 uomini e 207 bambini.
Il rastrellamento procede in altri quartieri di Roma, in particolare a Testaccio, a Monteverde, a Trastevere, al Trieste Salario. 
Vengono condotti sui camion altri mille ebrei circa.

In via Brescia 29 muore per lo spavento l'anziana Sofia Soria. 

In via Flavia 84 viene prelevato anche Beniamino Philipson, sulla sedia a rotelle di invalido, malato di una grave forma del morbo di Parkinson. 

In via Adalberto, nei pressi di piazza Bologna, viene portato via Ennio Lanternari, un bambino di 4 anni che è solo in casa, la nonna è scesa un attimo a comprare il latte.  Lo trascinano via terrorizzato e nell'atrio d'ingresso del palazzo trovano anche la nonna che torna: portano via tutti e due.

Racconta Giancarlo Spizzichino, Responsabile dell'Archivio Storico Ebraico:
"La maggioranza degli ebrei deportati quel 16 ottobre non abitava al Ghetto; io, per esempio, abitavo all'inizio di Via Dandolo assieme  ai miei genitori, mia sorella e i miei nonni paterni. Avevo poco più di 5 anni, ricevemmo una telefonata il 16 all’alba, un conoscente ci disse: scappate stanno prendendo tutti gli ebrei di Roma! Fino a quel momento non avevamo avuto alcun sentore, come tanti altri ebrei romani. La comunità non sospettava alcuna razzia, un po’ per i 50 kg d’oro consegnati a Kappler, un po’ perché ci sentivamo tutti gli “ebrei del Papa”, quelli che sarebbero stati protetti. Io era a letto con la febbre alta a causa di un’iniezione di antitetanica; mi misero una sciarpa, faceva molto freddo, e scappammo verso Piazza San Cosimato. A poche decine di metri dal portone, ci si parò davanti un soldato italiano che allargò le braccia e disse: “Non di qua”, ancora oggi non so come abbia potuto intuire che stessimo fuggendo, che fossimo ebrei. Ricordo vividamente la sua divisa e le fasce che i soldati mettono alle caviglie; se fossimo andati dritti ci avrebbero presero tutti. Deviammo quindi per Via Manara, mio nonno aveva un negozio di merceria e  una donna che si riforniva da lui, ci accolse a casa sua e ci nascose."


Anche Settimio Calò si salva. Uscito di casa presto, va a fare la coda per avere le sigarette, torna a casa molto tardi quando è tutto finito. La moglie, i suoi 10 figli, il più grande 21 anni, il più piccolo di soli 4 mesi, non ci sono più. Vorrebbe uccidersi, ma resiste alla tentazione perchè ha speranza di ritrovare la sua famiglia, almeno qualcuno della sua famiglia. Non sarà così. La famiglia di Settimio non torna da Auschwitz.

Giacomo Limentani è un bambino di 8 anni, non è in casa, fugge su un filobus. All'altezza del portico vede buttare dei bambini, dal primo piano, sui camion. Con la sorella va a nascondersi nell'ufficio del padre, ma sulla porta trovano un grande cartello con il nome  di tutti i componenti della sua famiglia. Apre la porta dell'ufficio col terrore di trovarci dentro le SS; restano in quell'ufficio per tre mesi, senza aprire le finestre, senza fare rumore, sempre a piedi scalzi. Poi sono ospitati da un amico cattolico, e infine trovano rifugio per 8 mesi in un convento senza mai uscire da una cella senza finestre.

Lia Levi, 11anni, rimane 9 mesi in un convento di suore.

Molti sfuggiti alla cattura vengono aiutati dai frati dell'ospedale "Fate bene fratelli" sull'isola Tiberina: vengono vestiti da malati, o da infermieri. 
Altri trovano rifugio nelle case dei romani, nelle chiese, nei collegi religiosi.

I "rastrellati" del 16 ottobre vengono rinchiusi nei locali del Collegio Militare, in Via della Lungara.

Nella prima notte di arresto,  Marcella Perugia, di anni 23, dà alla luce una bambina. Con Marcella ci sono anche i suoi due figli, uno ha 6 anni, l'altro 5. Il marito di Marcella, Cesare Di Veroli, non era in casa durante il rastrellamento. 
Il 18 ottobre 1943 tutti i reclusi al Collegio Militare vengono trasferiti su camion telati alla Stazione Tiburtina.

Alla stazione, sotto costante controllo militare, vengono fatti salire su 18 vagoni per trasporto merci o animali, le cui porte vengono piombate con la fiamma ossidrica, e le poche aperture chiuse con il filo spinato.

Alle 14.05 del 18 ottobre il treno parte per Auschwitz.  

I giornali italiani, dal 16 al 18 ottobre, non riportano alcuna notizia, nè del rastrellamento, nè dell'arresto, nè del trasferimento alla stazione Tiburtina, nè della presunta destinazione.

Non c'è alcuna protesta ufficiale della Chiesa cattolica.

Sul treno solo un giovane riesce a crearsi un piccolo varco nel filo spinato e si getta, non visto, dal treno in movimento: si ferisce, ma si salva. E' Lazzaro Sonnino.

A Padova, dove il treno fa l'ultima sosta in Italia, l'ispettrice della Croce rossa Lucia De Marchi scrive sul suo diario:
 "...alle ore 12, non preannunciato, sosta alla nostra stazione centrale un treno di internati ebrei proveniente da Roma. Dopo lunghe discussioni ci viene dato il permesso di soccorso. Alle 13.00 si aprono i vagoni chiusi da 28 ore! In ogni vagone stanno ammassate una cinquantina di persone, bambini, donne, vecchi, uomini giovani e maturi. Mai spettacolo più raccapricciante s'è offerto ai nostri occhi. E' la borghesia strappata alle case, senza bagaglio, senza assistenza, condannata alla promiscuità più offensiva, affamata e assetata. Ci sentiamo disarmate e insufficienti per tutti i loro bisogni, paralizzati da una pietà fremente di ribellione, da una specie di terrore che domina tutti, vittime, personale ferroviarie, spettatori, popolo... "


Sempre durante la fermata del treno a Padova, c'è un giovane radiotelegrafista: Walter Chillin. Sente il pianto e i lamenti che vengono dal treno. Prende la mela che si è portato al lavoro, è lui stesso che lo racconta, l'avvicina al filo spinato da cui esce una mano. Un soldato tedesco gliela strappa e se la mangia. Poi minaccia di far salire sul treno anche lui. 

Dall'interno di un vagone chiedono soccorso per una donna che sta per partorire. 
Italo Lazzarini, il capostazione, chiama un'ambulanza; l'ambulanza arriva, ma i tedeschi non consentono il trasporto in ospedale. 

Alle 23.00 del 22 ottobre, dopo 4 giorni sui carri merci piombati, il convoglio di 18 vagoni giunge ad Auschwitz. 

Il giorno dopo inizia lo sterminio degli ebrei romani.


Nessun bambino è tornato da Auschwitz.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
PAOLO GIUNTA LA SPADA 










15 commenti:

Russel ha detto...

Grazie Paolo. Indimenticabile

Rossella P. ha detto...

Nel mondo di oggi sale di nuovo ogni forma di fanatismo. Ritorna anche itanta ignoranza e si sa come va a finire quando l'igmnoranza si mischia con il fanatismo. Grazie per il bellissimo articolo

AnnaLisa ha detto...

Mi vengono ancora i brividi dopo aver letto il tuo lunghissimo bellissimo post. Sapevo, ma non così. Quante cose mi vengobo in testa..... Ma i nostri giovani sanno qualcosa di tutto questo? Chi glielo insegna?

Stefano Parrettini ha detto...

Uno dei grandi problemi in Italia è che chi avcrebbe il dovere di RICORDAREnon lo fa perchè non ha mai fatto i conti con il passato.
La sinistra oggi si limita a celebrare queste date, ma le celebrazioni senza una autentica memoria storica non servono a nente anzi sono dannose alla formnazione educativa dei giovani che hanno le palle piene di vecchi tromboni che rievbocano solo per farci , ancora una volta, fessi.
Il tuo articolo è appezzabile perchè non è celebrativo, ma racconta i fatti e fa riferimento a una grande quantità di testimonianze.

Matteo B. ha detto...

Grande Paolo, come sempre. Bellissimo post!

Tex W. ha detto...

Chi produce cultura e ricorda la storia non fa mai cattiva politica...
Vallo a dire ai politici di oggi.....

Lara ha detto...

Grazie Paolo,
Per fortuna c'e' ancora gente come te che ricorda questo orrore. Io sto male ancora adesso al pensiero e davvero ancora non posso credere che l'uomo sia stato (e sia ancora) capace di fare cio'. Sono stata a Auschwizt e mi sembra di sentire il suo odore al ricordo. Ogni scuola dovrebbe farci una gita scolastica.
La mia paura attuale e' che risucceda ( in molte parti del mondo ancora succede). E' un incubo.

Molto emozionante il racconto, grazie Paolo. Dell'isola tiberina sapevo che avevano fatto credere ai tedeschi che gli ammalati erano estremamente contagiosi e quindi era meglio non avvicinarsi.....
Un abbraccio a te e alla tua famiglia
Lara e c.

Massimo ha detto...

L'Italia di Renzi Berlusconi e Grillo affonda nell'ignoranza e nella mediocrità

Maria Teresa Urbani ha detto...

Grazie per questo serio esempio di memoria storica. Quanti ricordano ?
Quanti studiano ?

paologls ha detto...

Molte testimonianze ricevute, interessantissime, tramite mail private.
Grazie!

Liliana V. ha detto...

Una cronaca che mischia emozione e conoscenza, davvero grazie.

Alberto Cavacin ha detto...

Di questa storia molti genitori non hanno raccontato nulla per anni. Gli ebrei non raccontavano nulla ai figli perchè temevano di produrre nei figli gli stessi traumi che loro avevano vissuto sulla pelle. I non ebrei non raccontavano nulla perchè si sentivano responsabili di un quartiere vuoto, il ghetto, con le porte chiuse, dove girava ogni tanto solo la Gestapo e qualche sciacallo o fascista. Tutti sapevano, molti hanno chiuso le loro coscienze, altri più coraggiosi hanno dato soccorso.
Non si può pensare di parlare dell'Italia di oggi e di Roma in special modo senza fare i conti con questa storia.
Una storia che qui è molto ben raccontata con le testimonianze dirette dei protagonisti e i documenti dell'epoca.
Grazie

Luana ha detto...

Ricostruzione rigorosa e documentata e ritmo narrativo avvolgente. Grazie grazie grazie!

Monica F ha detto...

Da leggere. Da far leggere. GRAZIE!

Roberto ha detto...

Grazie, abbiamo dimenticato