20 maggio 2014

Signori, la Libia!

21 GENNAIO 2012

Ricordate la Libia?

Prima parte.

Lo Stato Maggiore delle forze aeree italiane ha dichiarato: “Le operazioni condotte nel 2011 sui cieli libici hanno rappresentato per l’Aeronautica Militare italiana l’impegno più imponente dopo il 2° Conflitto Mondiale”.
Prima dell’intervento in Libia l’Aeronautica Militare Italiana era intervenuta in Iraq, Somalia, Libano, Serbia, Kosovo, Afghanistan e Pakistan.

Gli AMX e i Tornado hanno colpito con 520 bombe e 30 missili teleguidati a lunga gittata. Gli AV8 “Harrier” della Marina militare hanno sganciato 160 testate.
In tutto, ha riportato il generale Bernardis capo dello Stato Maggiore dell’AMI, Aeronautica Militare Italiana, si è trattato di circa l’80% delle “armi di precisione” a guida laser e GPS in dotazione alle forze armate:
“le munizioni utilizzate dalle forze aeree italiane sono state le bombe GBU-12 da 230 chili, le GBU-16 a guida laser Paveway da 495 chili, le GBU-24 da 907 chili penetranti, le EGBU-24 guidate da laser e GPS, le GBU-32 che possono colpire fino a 25 chilometri con qualsiasi condizione atmosferica, le GBU-38, le GBU-48 e i missili AGM-88 HARM e Storm Shadow da 1300 chili con un raggio d’azione fino a 250 chilometri. Gli obiettivi sono stato raggiunti con una percentuale di successo superiore al 96%”. (fonte Stato Maggiore dell’AMI).

Non si sa chi è stato colpito nel restante 4% degli attacchi, quelli falliti.

Secondo il generale Bernardis, nei sette mesi di operazioni in Libia, “i velivoli dell’Aeronautica Militare italiana hanno eseguito 1.900 missioni con oltre 7.300 ore di volo, pari al 7% delle missioni complessivamente condotte dalla coalizione internazionale a guida NATO”.
“Sugli oltre 1.600 target di ricognizione assegnati ai velivoli italiani, sono state realizzate più di 340.000 foto ad alta risoluzione, mentre circa 250 ore di filmati sono stati trasmessi in tempo reale dai Predator B”. Le missioni di attacco al suolo sono state pianificate e condotte “contro obiettivi militari predeterminati e definiti, o contro target dinamici nell’ambito di aree di probabile concentrazione di obiettivi nemici.”

Lo Stato Maggiore AMI ci informa che l’80% circa delle missioni aeree alleate sono partite da sette basi italiane: Amendola, Aviano, Decimomannu, Gioia del Colle, Pantelleria, Sigonella e, soprattutto: Trapani Birgi. “In questi aeroporti, l’Aeronautica Militare ha assicurato il supporto tecnico e logistico, sia per gli aerei italiani sia per i circa 200 aerei di undici paesi della Coalizione internazionale (Canada, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Francia, Giordania, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti, Svezia e Turchia), schierati sul territorio nazionale. In sostanza, il personale e i mezzi della forza armata sono stati impegnati in maniera continuativa per fornire l’assistenza a terra, il rifornimento di carburante, il controllo del traffico aereo, l’alloggiamento del personale.”
Solo a Trapani sono passati il 14% di tutte le missioni NATO oltre a 300 aerei cargo e circa 2.000 tonnellate di materiale. Da Trapani Birgi, uno dei quattro centri di cui dispone la NATO nello scacchiere europeo, hanno operato anche gli aerei radar AWACS, “assetti essenziali alle moderne operazioni aeree per garantire una efficace capacità di comando e controllo”. Lo Stato Maggiore AMI ricorda infine “l’importante supporto di personale specializzato nel campo della pianificazione operativa offerto ai vari livelli della catena di comando e controllo NATO, attivata in tutta Italia”, all’interno del Joint Force Command di Napoli e del Combined Air Operation Center 5 di Poggio Renatico (Ferrara).

Quanto è costato tutto questo all’Italia? Stiamo parlando di 3.000 missioni e 11.800 ore di volo più tutto il materiale tecnico e di servizio. Un’ora di missione dei cacciabombardieri, secondo Il Sole 24Ore, costa Euro 66.500, per gli Euro Fighter e i Tornado 32.000 Euro, Euro 19.000 per l’F-16, Euro 11.500 per il C-130 “Hercules” e solo10.000 Euro per l’Harrier.

Se si fa una media e si moltiplica il costo ora per il numero di ore volate si arriva alla cifra di circa 240 milioni di euro. Poi c’è la spesa per le bombe che andrebbero ricomprate visto che l’intervento in Libia ha eliminato l’80% delle nostre munizioni.
Ogni bomba a guida laser o GPS costa da 30.000 a 50.000 euro. I missili teleguidati costano da 150.000 Euro a 300.000 Euro. Se moltiplicate le 710 bombe sganciate per un valore medio di 75.000 Euro arrivate a 53 milioni e 250.000 Euro.
In più bisogna aggiungere le spese per i servizi di terra, i pezzi di ricambio, le indennità speciali pagate al personale, gli alloggiamenti e le mense per il personale straniero, il logoramento dei mezzi usati. E’ probabile pensare che le spese complessive per l’intervento del nostro Paese in Libia corrispondano ad almeno 350 milioni di Euro.

C'è la crisi e lo Stato è indebitato.
Con 350 milioni di Euro si potevano costruire 350 scuole;
oppure 175 ospedali;
oppure 100 scuole, 100 ospedali e 10 carceri.

(continua domani)

I&W

5 commenti:

roberta ha detto...
Aggiungi alla lista della spesa i soldi che la cooperazione allo sviluppo ha consegnato ai dittatori dalla Tunisia all'Egitto, con i risultati che sappiamo in termini di benefici per la popolazione locale. Con quelli ci scappava anche qualche asilo nido e magari si evitava qualche crollo a Pompei.
Tizzi ha detto...
Cento scuole, cento ospedali e 50 milioni di alberi nelle nostre città.
Russel ha detto...
Quello che sosrprende è che di tutte queste notizie non sa niente nessuno. Visti i debiti che fa lo Stato forse si dovrebbe sapere come i governi intendono spendere i soldi prima di spenderli. Poi si lamentano che non hanno carceri e vogliono far "uscire" i detenuti perchè non entrano più nelle celle. 350 milioni di Euro...
paologls ha detto...
Cara T. 50 milioni di alberi sono una splendida idea, ma anche le carceri sono un'ottima idea. Se non si costruiscono carceri belle e sicure la pena detentiva sarà solo una pena in luoghi orribili e malsani e non si traformerà in un'opera di rieducazione e recupero. Uno stato serio ed efficiente non fa uscire i delinquenti solo perchè non c'è più posto in "galera".
paologls ha detto...
Rimane il problema delle spese militari. Troppe, con troppi sprechi, e per guerre che si potevano evitare. In un Paese gravato da debiti sarebbe doveroso avviare una revisione radicale delle missioni militari.




22/gen/2012

22 GENNAIO 2012


Ricordate la Libia?

Seconda parte.

Il Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi ha visitato Tripoli il 19 gennaio 2012 e ha intrattenuto costruttivi contatti con i rappresentanti del National Transitional Council (NTC) per ristabilire un quadro politico positivo tra Italia e Libia. Ci sono da ripristinare gli accordi sui temi del petrolio e del gas, l’auspicabile ingresso della piccola e media industria italiana nel territorio, la collaborazione sul problema dell’emigrazione e della sicurezza. L’Italia ha promesso al nuovo governo libico di fornire forze militari in grado di formare la nuova Polizia del Paese.

L’Italia dovrà fare presto visto che oggi, 22 gennaio 2012, diverse centinaia di combattenti libici armati hanno piazzato bombe a mano sulle porte del quartier generale del National Transitional Council di Bengasi, hanno fatto irruzione nell’edificio devastandolo, hanno costretto il leader Mustafa Abdul Jalil a trattare e ancora adesso, mentre questo post sta per essere pubblicato, circa 50 agenti in borghese stanno cercando di convincere gli ex-combattenti a tornare a casa.

I libici, a più di tre mesi dalla fine della guerra civile, si sentono sempre più frustrati per la mancanza di riforme politiche e di una chiara svolta nella gestione del Paese. La protesta sta montando in tutto il Paese. Migliaia di manifesti affissi nelle strade di ogni città invitano i libici a consegnare le armi, ma gli ordini non vengono rispettati e 125.000 miliziani risultano ancora armati. A dicembre scorso il governo ha imposto lo smantellamento dei check point delle milizie a Tripoli, ma ai primi di gennaio centinaia di uomini armati sono ricomparsi a Tripoli con la scusa che nella città erano stati avvistati seguaci di Gheddafi.

Nelle scuole è ripresa l’attività scolastica con i nuovi libri di testo che esaltano l’azione rivoluzionaria che ha condotto alla caduta di Gheddafi, ma la realtà è che nel Paese agiscono quasi 100 milizie armate che fanno riferimento a trenta diverse tribù e a distinti gruppi politici e religiosi. Il processo di transizione per una nuova Libia versa in un grave clima di incertezza. Anche nei giorni scorsi gruppi di manifestanti hanno mostrato la loro insoddisfazione, in particolare aggredendo l’Ufficiale del NTC Abdel Hafiz Ghoga.

I dimostranti chiedono leggi elettorali più trasparenti e poteri per i combattenti della guerra civile. La divisione delle forze politiche in Libia rispecchia il decentramento e la sostanziale autonomia che avevano le milizie combattenti nella lotta contro il regime di Gheddafi. Mentre il governo cerca di smilitarizzare il Paese le milizie si danno un’organizzazione istituzionale indipendente e continuano ad arrestare, detenere sospetti, acquistare armi, controllare intere regioni. Le milizie non intendono rinunciare al loro potere e accusano il NTC di voler ripristinare il vecchio potere senza cambiamenti di rilievo.

Oltre al conflitto tra milizie armate e governo di transizione si acuiscono i contrasti e i sospetti tra le varie milizie che cercano di assumere ruoli politici centrali nella costruzione della nuova Libia. Le milizie di Zintan, Misurata, Bengasi controllano le rispettive città, gli aeroporti, le strade principali e non esistono forme di collaborazione tra loro o con gli altri gruppi armati.

In effetti la Libia non è mai stata una nazione se non nell’occupazione coloniale italiana che l’aveva unificata e nel regime di Gheddafi che aveva impostato un modello politico di rentier state. Un rentier state si basa su un patto sociale tra governante e popolo governato per cui lo stato ridistribuisce parte delle sue entrate statali al popolo e il popolo, in cambio, non reclama per sé poteri e diritti se non quelli che lo stato ha deciso di elargire. La distribuzione di sussidi e beni primari finisce per corrompere la popolazione che risulta poco incentivata a chiedere una qualche forma di partecipazione o di democrazia nella gestione del potere.
Alla gente viena assegnata una casa, un salario minimo per una prestazione professionale ridotta, beni e servizi gratuiti come assistenza sanitaria ed educazione scolastica e la totale esenzione dalle tasse. In cambio, al popolo si chiede di astenersi da qualsiasi forma di rappresentatività nella gestione concreta dello stato. Al massimo si concedono organismi consultivi di territorio mentre il potere è fortemente centralizzato. Il rentier state è il contrario della moderna società liberale che è basata sul principio “no taxation without rapresentation”.

Il rentier state è tipico di una oil-economy come la Libia in quanto l’intera economia dello stato è basata sulle provvigioni che derivano dalla vendita del petrolio e il fabbisogno dello stato viene tratto direttamente dalla vendita della preziosa materia prima.

E’ prevedibile che anche il nuovo regime segua la medesima impostazione. Difficile pensare, per questa ragione, che si possa avviare un reale processo di democratizzazione. Inoltre l’influenza che in questi mesi stanno assumendo i Paesi del Golfo sul processo libico, in particolare il Quatar, fanno sospettare che sia difficile instaurare un governo democratico in Libia.
Ancora, quello che preoccupa il governo di transizione è la spinta divisiva delle milizie.

I libici, inoltre, non hanno mai sentito una sola identità nazionale.
Il Fezzan rivendica autonomia e la guerra ha acuito la tradizionale rivalità tra Tripolitania e Cirenaica. All'identità nazionale si sovrappongono le identità regionali e a queste si aggiungono quelle tribali. L’affiliazione tribale riguarda al massimo il 20% della popolazione su base nazionale, ma è preponderante e decisiva nelle zone interne del Paese.

Si può ipotizzare una Libia controllata in ogni regione e in ogni città da una milizia o da un gruppo tribale diverso? Si stanno affacciando nel panorama politico i nazionalisti cirenaici, i gruppi tripolini, le società berbere, i tuareg del deserto, i Senussiti, i partiti finanziati da nazioni straniere, gli ex-sostenitori di Gheddafi in esilio all'estero.
L’assassinio di Abdel Younis nel luglio 2011 e la bruciante ascesa politica e militare di Abdel Hakim Belhaj, veterano della guerra russo-afgana e capo islamico radicale, lasciano pensare che gli integralisti islamici siano pronti ad assumere un ruolo di rilievo nel futuro della Libia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

3 commenti:

Anonimo ha detto...
Post interessante. Gheddafi aveva creato uno stato laico come Saddam Husein in Irak. L'Occidente ha distrutto l'uno e l'altro e ora c'è l'incognita del futuro assetto di questi due Paesi. In Irak c'è costante instabilità e continui attentati, in Libia ci si potrebbe arrivare molto presto
Russel ha detto...
Grazie Paolo. Volevo andare in Libia l'anno scorso, poi è scoppiato il casino. Mi chiedo quando si potrà riprendere a viaggiare enza beccare una mina e senza incontrare una milizia che ti scambia per una spia e ti spara.
paologls ha detto...
Il mondo mediterraneo e arabo sta cambiando e l'Italia, per tradizione storico-politica e posizione geografica, potrebbe giocare un ruolo importante nella transizione.
Per il nostro Paese ci sono in gioco questioni vitali come l'approvigionamento di petrolio e gas e il tema della sicurezza e della regolamentazione dei flussi migratori. Il rischio, in Libia come in Tunisia, Algeria, Egitto e Siria, è che alle richieste di maggiore democrazia si risponda con regimi militari influenzati da un ritorno di nazionalismo e dall'islamismo radicale più o meno mascherato.


http://paologls.blogspot.it/2011/07/sud-dellitalia.html

05 LUGLIO 2011


A sud dell’Italia.

Le vacanze nel Mediterraneo.

In questi giorni le famiglie italiane parlano di vacanze. Chi ha prenotato un anno fa, chi si limita ad andare nella seconda casa di proprietà, chi sta cercando solo ora un’offerta speciale o un volo scontato. C’è anche il turismo da “crisi”: molti vanno in Grecia perché lì la crisi rende gli operatori turistici più ospitali e disponibili a prezzi più bassi. Anche dopo la guerra nell’ex-Jugoslavia molti italiani andavano nelle località marine della Croazia. La Tunisia, il Marocco e l’Egitto cercano di rilanciare il turismo post-crisi: le agenzie offrono pacchetti scontati.
In Libia non si va più e gli italiani l’hanno dimenticata. Nessun media di questo mondo dice la verità sulla Libia. Ogni notte Tripoli, una città di due milioni di abitanti, viene bombardatata pesantemente. I Falcon F16, i Tornado, i 2CC-150 Polaris, i Mirage ultima generazione di Francia, Regno Unito, USA, Canada, Danimarca, Belgio, Olanda, Italia e Norvegia scaricano sulla città i missili ASMP, gli AGM 65 Maverick, gli Storm Shadow, i missili Harm, i 109 Tomahawk da 1.440 chili di peso, i Cruise Air Launched da un milione di dollari l’uno. Questo bombardamento a tappeto non c’entra nulla con la No Fly-Zone decisa dall’ONU più di tre mesi fa.
Un anno fa il leader libico Gheddafi era ricevuto con tutti gli onori in tutto il mondo. In Italia il premier gli organizzava una visita di lusso con centinaia di escort pagate dallo stato e gli regalava battelli, armi e miliardi.
Ora il governo italiano non ama parlare della Libia. Con la manovra finanziaria che impoverisce ulteriormente gli italiani non c’è voglia di parlare di quanto costano le missioni militari.
Si sorvola anche su quello che stanno facendo i bombardieri italiani. “Non ritengo sia necessario fornire queste informazioni“, ha risposto il Ministro della Difesa, Ignazio La Russa, a Maurizio Caprara del Corriere della Sera. Eppure lo stesso ministro aveva rimproverato i militari italiani dopo la morte del caporale Matteo Miotto in Afghanistan, li aveva accusati di nascondergli le notizie affermando di voler “comunicare con la massima trasparenza, non come il mio predecessore”. “La Nato non distingue tra l’aereo francese, l’italiano, l’inglese. Ha a disposizione i mezzi delle varie nazioni che partecipano alle azioni, dunque non tocca a me dire che fa l’aereo italiano rispetto al francese o all’inglese. Lo dirà, se vorrà, soltanto la Nato” ha dichiarato il ministro mostrando o fingendo di non conoscere i criteri di informazione della NATO. I giornalisti inglesi, francesi e americani, alloggiati sulle portaerei, possono intervistare comandanti e piloti, i nostri reporter non possono fare altrettanto con i militari italiani.
Oggi la Missione ONU, nata con la scusa di proteggere i civili ("protect civilians" and let Libyans "decide their own future”), si è trasformata in una guerra che è già riuscita nell’intento di dividere la Libia in due nazioni diverse e distruggerne largamente le risorse. Le città, i porti, gli aeroporti, le strade, i terminali petroliferi, le case, le scuole, gli ospedali: tutto distrutto. Migliaia di innocenti vittime civili. Manca la luce e scarseggia l'acqua negli ospedali e nelle case.
Nessuno in questo periodo di “export della democrazia” ha chiesto agli abitanti di Tripoli che cosa ne pensano. Piuttosto che costruire iniziative politico-diplomatiche forti si è preferito fare la guerra raccontando la storiella che gli insorti erano alle porte di Tripoli e che Gheddafi era prossimo alla fuga: tutto quello che ho scritto nel post del 23 marzo scorso

http://paologls.blogspot.com/2011_03_01_archive.html

si è verificato. Andate a leggere invece gli articoli dei media italiani e internazionali di quell’epoca: scoprirete il livello macroscopico di bugie e inesattezze che il "nuovo ordine globale" è in grado di allestire.
Amnesty International, associazione che ha sempre denunciato la limitazione dei diritti civili e gli abusi del colonnello in Libia, ha indagato sulle presunte violenze commesse a danno delle donne libiche (“Gheddafi dà il Viagra ai suoi soldati”) concludendo che non c’è alcuna evidenza di stupri o violenze da parte dell’ esercito regolare libico: un’altra invenzione.
Così dopo l’Irak e la Somalia la mia “teoria delle macchie di leopardo” ha una nuova dimostrazione: la Libia.

http://paologls.blogspot.com/2010/02/le-terre-di-nessuno-la-teoria-delle.html

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada
(continua)



23 MARZO 2011


A Sud dell’Italia. Seconda parte.

La Libia.

http://paologls.blogspot.com/2011/02/sud-dellitalia-se-non-si-studia-lafrica.html


Da 5 giorni è in vigore la Risoluzione Numero 1973 dell’ONU sulla crisi libica. Per 4 giorni aerei di diversi Paesi europei hanno bombardato impianti e basi in Libia. Il mondo è stato lento ad occuparsi della crisi libica, ma la risoluzione 1973 è giunta all’improvviso e risulta scritta in modo confuso.
La Libia è uno stato sovrano presente nell’ONU e riconosciuto da tutti i Paesi del mondo. Negli ultimi 10 anni Gheddafi aveva ripristinato buone relazioni con tutto il mondo occidentale senza eccezioni, USA compresi, e instaurato un rapporto di vera e propria alleanza con l’Italia diretta dal premier Berlusconi. La critica che questo blog ha espresso su tale alleanza e sui conseguenti accordi, tutti a favore del regime di Gheddafi, è quasi un’eccezione nel panorama politico italiano.

http://paologls.blogspot.com/2010/10/storie-di-mari-e-migranti.html

Quando un anno fa Gheddafi venne in visita a Roma con le sue cortigiane, attendato a Villa Pamphili, e il premier italiano gli organizzò perfino un incontro con 85 escort pagate dai contribuenti italiani 100 Euro l’ora ci furono, tutto sommato, proteste contenute.
E anche quando gli “amici” libici, come li definì il governo nell’occasione, spararono contro i pescatori italiani su un battello regalato dall’Italia alla Libia pochi furono coloro che chiesero a gran voce l’azzeramento degli accordi Italia-Libia (oltre ai pescatori e a questo blog pochissimi politici; molti espressero perplessità che è un modo italiano per non dire niente).

E’ evidente che l’Italia rischia più di tutti i suoi partner europei.
I soldi buttati dal governo del premier e regalati a Gheddafi, le armi, le navi e gli aerei donati o venduti con mutui trentennali non ce li ridarà più indietro nessuno.
In un mese di crisi il governo non ha saputo costruire una sola iniziativa politico-diplomatica che evitasse la situazione attuale. I primi due giorni di crisi il premier e Frattini erano per il “non–intervento”. Quando hanno visto che gli “insorti” erano alle porte di Tripoli, senza premurarsi neanche di verificare le notizie, che erano per lo più false, hanno cambiato idea e hanno cominciato a parlare di “rispetto dei diritti umani”.
Poi c’è stato il premier francese che, incurante del politicamente corretto, si è napoleonicamente autonominato presidente in campo di tutte le forze militari contro Gheddafi.
Da allora, paurosi di essere scavalcati dagli altri e soprattutto dai francesi, immemori per ignoranza dello “schiaffo di Tunisi” del 1881, ma probabilmente sensibili a complessi di inferiorità riguardo a iniziative militari, i rappresentanti del governo, in particolare il Ministro La Russa, si sono distinti per dichiarazioni guerresche in cui sembrava che della task force in campo per applicare la No Fly Zone gli italiani dovessero essere i primi o quasi: “l’Italia non è seconda a nessuno” ha detto il Ministro il primo giorno della risoluzione ONU.
La sera seguente i primi bombardamenti, con i giornali che sparano in prima pagina “ci sono anche i Tornado italiani!” e le dichiarazioni di Gheddafi sul premier Berlusconi traditore, si fa una nuova marcia indietro e il governo dichiara: “i nostri aerei non sparano, vanno solo a cercar radar”. Nessuno dice cosa fanno se li trovano.
Inoltre, c’è un altro mezzo ripensamento: si dice che è meglio un comando unificato NATO e si minaccia di chiudere le basi. Le basi italiane della Nato sono ad Aviano in Friuli, Camp Ederle a Vicenza, Ghedi in Lombardia, Camp Derby a Livorno in Toscana, Gaeta nel Lazio, Napoli, Gioia del Colle in Puglia, Sigonella in Sicilia. Il Centro Ricerche è a La Spezia, la Scuola Comunicazioni è a Latina e i Comandi sono a Roma, La Spezia, Latina e Napoli.
Non credo che sia pensabile un comando NATO unificato nel Mediterraneo senza la Turchia, contraria all’intervento.
Quindi la speranza italiana che “alla guerra si vada insieme” è un’infantile illusione. Ognuno farà da solo in linea con i propri interessi nazionali e alla faccia dell’Europa unita e del diritto di tutti nel mondo di far valere la propria opinione.
Il governo, invece di aspettare le decisioni degli altri, dovrebbe sviluppare iniziative diplomatiche originali e “forti” e cercare le vie della trattativa con l’aiuto dei paesi arabi, africani e occidentali che non vogliono vedere la Libia ridotta come l’Irak o la Somalia.
La nullità politica internazionale del premier italiano, lesto ad organizzare festicciole con le escort, ma incapace di articolare una politica estera che vada al di là dei suoi interessi personali, è evidente.
Dovrebbe dimettersi non per il caso Ruby, o per lo meno non solo per quel caso che infanga l’immagine dell’Italia in tutto il mondo, ma perché si dimostra incapace di gestire le relazioni dell’Italia con il resto del mondo.
In ogni caso tutto si può accettare meno che un silenzio di un mese e una serie di tentennamenti che neanche un Savoia…
Non è un caso che l’inviata di Obama, Nancy Pelosi, sia andata a parlare della crisi libica col Presidente Napolitano e non con il premier.
Se l’Italia ha fatto male, l’ONU ha fatto malissimo, e Francia e Regno Unito hanno fatto peggio.
La risoluzione è passata a stento: 10 voti a favore e 5 defezioni importanti: Cina, Russia, Germania, Brasile e India.
I rappresentanti tedeschi hanno detto che l’azione militare può andare fuori controllo e condurre ad un "large scale loss of life", una perdita di vite su larga scala.
L’India ha affermato che non ci sono sufficienti informazioni sul campo per intervenire in modo appropriato e corretto.
La Russia ha escluso il suo intervento.
La Cina è molto critica e irritata.
La maggior parte dei Paesi africani e arabi è contraria e sospetta che la No fly-zone sia una scusa per un’ingerenza indebita negli affari della Libia. Il segretario della Lega Araba è a favore. L’Unione Africana è contraria.
La Risoluzione non parla solo di No Fly Zone, ma di adottare tutte le misure necessarie per proteggere i civili in Libia: “all measures necessary to protect civilians in Libya”.
E se sono gli insorti a bombardare e uccidere i civili? E i bombardamenti francesi e inglesi tutelano i civili?
Come è successo in Irak e in Afghanistan?
La rimozione del potere di Gheddafi non è negli obiettivi della Missione anche se si fa strada l’idea che se Gheddafi vince l’instabilità nel Mediterraneo sia destinata a crescere.
La Risoluzione è stata opera dei francesi e degli inglesi.
Su questa crisi vengono dette molte bugie. In un primo tempo si raccontava che gli insorti stavano avendo ragione del regime di Gheddafi. Difficile pensare che gente inerme, a mani nude, riesca a sconfiggere un regime solido in due soli giorni.
Chi li arma? Chi c’è dietro di loro? Le tribù beduine non hanno denaro e competenze per gestire un conflitto di tali dimensioni.
Il rappresentante inglese all’ONU Mark Lyall Grant ha detto che la Risoluzione è passata per porre fine alle violenze, "protect civilians" and let Libyans "decide their own future".
Avevamo sentito queste belle parole dette da rappresentanti inglesi anche a proposito dell’Irak. Allora l’esecutivo era retto dal laburista Blair che sostenne Bush nelle bugie usate per attaccare l’Irak e distruggerlo, oggi c'è il conservatore Cameron.
Cambiano i leader inglesi, ma gli inglesi non cambiano mai.
Si sa poi come è andata a finire in Irak: una catastrofe che continua ancora oggi tutti i giorni.
Si dice che reparti britannici in incognita già affiancherebbero “gli insorti” nelle operazioni militari sul territorio, cosa che la Risoluzione ONU proibisce, e si ipotizza che siano già attivi anche i militari francesi: un preludio di guerra su larga scala?
Mettiamola così: immaginiamo che un Paese sovrano in buone relazioni col mondo intero subisca in casa propria un tentativo di colpo di stato. Che si fa? Si aspetta che l’ordine sia ripristinato, vero?
Nel caso della Libia di Gheddafi questo non è successo, è accaduto il contrario. Si dice: è un dittatore spietato, ha ucciso e affamato i libici. E’ vero, ma dovevate dirlo prima: quando dicevate il contrario.
La realtà è che con Gheddafi, quello che ha cacciato gli italiani nel 1970 rubando impunemente tutti i loro beni, si fanno ottimi affari. Non solo gli italiani con il petrolio e la vendita di armi: anche i francesi prendono petrolio e vendevano Mirage fino all’altro giorno, gli inglesi, i tedeschi, tutti.
Oggi la guerra si fa per le stesse ragioni per cui si faceva la pace: per il petrolio. Infatti l’ONU non è stato convocato da Parigi e da Londra per nazioni dove sono in corso devastanti guerre civili.
Un esempio? La Costa d’Avorio, dove muoiono ogni giorno centinaia di persone inermi e nessuno se ne interessa.
Insomma le nazioni occidentali, in particolare Regno Unito, Francia e USA, con la falsa scusa della “democrazia” pensano solo a curare i loro interessi economici, commerciali e politici.
Come nel 1991 quando in Algeria si svolsero regolari elezioni politiche, ma vinse il FIS, il Fronte Islamico di Salvezza che avrebbe instaurato la Sharia e iniziato una politica antioccidentale e antifrancese. Così il risultato delle elezioni non fu rispettato, e con il beneplacito dello spionaggio francese e americano ci fu un colpo di stato: l’Algeria si schierò con l’Occidente e a nessuno venne voglia di parlarne anche se per anni ci fu una orribile guerra civile. Come dire: “ ci vanno bene le elezioni, ma solo se vincono i nostri candidati”...
Si dice che la guerra finirà in pochi giorni, ma io dubito che sia come vorrebbero far credere.
La Libia può comprare armi dal Ciad di Idriss Deby, grande sostenitore di Gheddafi. Si sa che l’ambasciatore libico a N’Djamena è accusato dalle Nazioni Unite di aver reclutato mercenari per sostenere l’esercito libico. Altri aiuti giungeranno da Sud da paesi amici del regime di Tripoli: Mali e Niger; o da ovest: dall’Algeria, seppure clandestinamente. Vogliamo estendere la No-fly zone a tutta l’Africa del Nord? E poi?
Intanto si intensifica il senso di divisione che i libici avvertono in questi giorni: da una parte l’est aiutato e già influenzato dagli stranieri, dall’altra l’ovest, in particolare i due milioni di abitanti di Tripoli che non hanno protestato contro Gheddafi, che inizia a sentirsi accerchiato dalla propaganda del colonnello e dall’intervento militare straniero che appare ai loro occhi come un'operazione di stampo coloniale.
Quando la Libia sarà divisa e smembrata in più regioni ci ricorderemo degli errori di questi giorni. Anche il popolo libico se ne ricorderà.

Paolo Giunta La Spada

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