28 febbraio 2013

Out of Africa? Seconda parte.

Jomo Kenyatta fu il primo presidente del Kenya nel 1963. 
Kenyatta adottò una politica moderata di alleanza con il mondo occidentale. 
Dopo iniziali aperture a forme di democrazia liberale il Kenya diventò ben presto uno stato basato su un mono-partito. 
Nel 1978 subentrò Daniel Arap Moi che, in seguito a un tentativo di colpo di stato nel 1982, introdusse norme che rendevano pressochè impossibile una concreta opposizione politica. 
Moi governò, con due scontate riconferme elettorali nel 93 e nel 97,  fino al 2002. 
Nel 2002 prese la guida del governo Mwai Kibaki, che decise di partecipare anche alle elezioni del 2007. 


Nelle elezioni del 28 dicembre 2007 fu dichiarato vincitore Mwai Kibaki, ma di strettissima misura. 
Raila Odinga, il candidato sconfitto, contestò la vittoria e accusò apertamente di brogli. 
Gli appartenenti alla tribù dei Luo, il gruppo etnico di Odinga, inscenarono proteste vibranti in tutto il paese. 
I Kikuyu, etnia di riferimento di Mwai Kibaki, si scontrarono con i Luo.

Mentre in Europa si festeggiava il Capodanno 2008 a Nairobi e in molte regioni del paese c’era la guerra. 

Una guerra tra vicini di casa, tra persone che fino a pochi giorni prima facevano la spesa insieme, con i bambini che giocavano insieme nel vicolo davanti casa. 

Nello slum di Kibera a Nairobi esplose la rabbia dei Luo e si diede la caccia ai Kikuyu. 
Si formarono bande armate kikuyu che  attaccarono i Luo. 
Centinaia di negozi furono bruciati in un solo giorno. 
Il supermercato Nakumatt del quartiere fu prima interamente saccheggiato e poi incendiato. 
Oggi a distanza di anni ne rimane solo lo scheletro affumicato. 
La ferrovia fu distrutta, i binari divelti, le traversine usate come arma. I depositi di bombole di gas esplosero. 
La gente che era andata a lavorare non poteva tornare a casa perché la casa non c’era più e le strade brulicavano di giovani che si combattevano. 
Lo scontro si propagò alle campagne. 
In 5 giorni ci furono 1.500 morti, decine di migliaia di feriti, 600.000 senza casa.

II segretario dell'ONU Kofi Annan propose e ottenne un compromesso: Kibaki rimase presidente, ma fu istituita la nuova carica di primo ministro per Raila Odinga. Negli ultimi 5 anni, pur tra polemiche e resistenze, il Kenya è stato governato insieme da Kibaki e Odinga.

Per le elezioni del 4 marzo 2013 ci sono 8 candidati, ma solo due hanno la possibilità di vincere.
Il primo è Uhuru Kenyatta, l'attuale vice primo ministro, figlio del "padre" dell'indipendenza kenyana Jomo Kenyatta, leader carismatico, ricco e potente, con legami politici solidi in tutto il Paese, di etnia Kikuyu.
Il secondo è Raila Odinga, l'attuale primo ministro, figlio di Oginga Odinga che fu il primo vice-presidente proprio con Jomo Kenyatta.
Raila Odinga tenta la scalata alla presidenza per la terza volta, dopo le contestate elezioni del dicembre 2007: è molto seguito in tutto il paese, potente e rispettato, di etnia Luo.
I due leader si sono incontrati domenica scorsa nella centralissima area verde di Uhuru Park per dire ai kenyani che, prima ancora delle elezioni, è importante la pace che può garantire la prosperità del Kenya nel futuro.
In realtà la rivalità tra le due comunità di riferimento, i Kikuiu e i Luo, risale all'epoca dei loro padri  e non è mai stata del tutto risolta o sanata, e si interseca, in un quadro estremamente complesso, con le rivalità esistenti tra tutti gli altri gruppi etnici: i Masai, i Luia, i Kalenjin, i Meru, i Samburu, i Mokamba, i Kisi, i Turkana, i Pokot, solo per citarne alcuni.

Anche nelle prime elezioni con più partiti, negli anni 90, la competizione fu tra candidati Kikuyu e candidati Luo. 

Uhuru Kenyatta e Raila Odinga, i due candidati delle prossime elezioni, hanno stretto alleanze sorprendenti. 
Poichè per vincere hanno bisogno del 50% più uno dei voti, Uhuru si è alleato con William Ruto, rappresentante dei Kalenjin e grande rivale politico della famiglia Kenyatta nel 2007. 
Raila si è alleato con il vicepresidente attuale Kalonzo Musyoka,  suo arci-nemico per lungo tempo.

Il voto in Kenya avverrà in accordo con le norme dettate dalla nuova Costituzione votata e approvata poco più di un anno fa. Uno degli obiettivi della Costituzione era stabilire una forma di stato unitario, liberale e democratico, che prescindesse dalla divisione etnica e valorizzasse anche forme decentrate di potere. 
Nella realtà le alleanze stabilite hanno riproposto e acuito il tema delle differenze e rivalità etniche. 

In aggiunta ai conflitti etnici e politici le elezioni del 4 marzo 2013 sono rese complicate dal fatto la Corte Internazionale per i Crimini contro l'Umanità ha indicato Uhuru Kenyatta e William Ruto come collegati alle violenze post-elezioni di fine dicembre 2007.
Le accuse della Corte hanno esasperato le divisioni etniche e le accuse di strumentalizzazione politica.   
Johnnie Carson, della Segreria di Stato per gli affari  africani degli U.S.A., ha affermato recentemente che ci saranno conseguenze se saranno eletti gli inquisiti della Corte Internazionale, lo stesso hanno dichiarato le Ambasciate di Francia e Regno Unito a Nairobi.
Riserve, seppure più moderate, sono state espresse dall'Unione Europea anche se le singole diplomazie, in particolare la Germania, hanno minimizzato e sottolineato la propria posizione indipendente.
Gli accusati hanno definito l'intervento U.S.A. come indebita ingerenza di stampo coloniale e hanno sfruttato la dichiarazione di Mr. Carson per affermare che loro, e solo loro, fanno gli interessi nazionali del Kenya.
In molti hanno ricordato le minacce che il mondo occidentale faceva al padre di Uhuru durante la guerra di liberazione per l'indipendenza del Kenya. 
Il governo kenyano ha invitato ufficialmente le nazioni straniere ad astenersi da qualsivoglia intromissione o giudizio su quanto concerne le elezioni, e a rispettare la libertà dei keniani di votare i propri candidati. 
Solo Raila Odinga e i suoi sostenitori, pur stigmatizzando l'intervento di U.S.A. e Regno Unito, ha posto l'accento sulla presunta ineleggibilità di Kenyatta e Ruto, o sulla convenienza del Kenya a scegliere altri candidati per mantenere gli aiuti economici dei paesi "donatori".
Ma che cosa deciderà l'I.C.C (International Criminal Court) se gli accusati di crimini contro l'umanità saranno eletti?

Il Presidente Obama è dovuto intervenire sulla questione assicurando i kenyani che l'amministrazione U.S.A. lavorerà con qualsiasi governo kenyano a condizione che le elezioni siano libere ("fair and free elections").
E nel Paese sono già attivi gli osservatori dell'O.N.U. per assicurare il regolare svolgimento delle operazioni di voto in ogni sezione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada
(continua)

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4 commenti:

Russel ha detto...

Raila e Ururu sono figli del primo presidente e del primo vicepresidente??? Ho capito bene? Ma allora sono due famiglie che dominano il Kenya da 50 anni!!!!!!!!

AnnaLisa ha detto...

C'è una divisione geografica tra i gruppi etnici?

Max ha detto...

ma tu scrivi sul Kenya per consolarci dell'Italia???

paologls ha detto...

I Kikuyu, del gruppo bantu, vivono ovunque in Kenya anche se sono originari dell'altopiano; i Luo, popolazione nilotica, sono originari delle coste del Lago Vittoria dove hanno sempre praticato la pesca; Masai, Samburu e Turkana sono pastori, originariamente nomadi, e vivono prevalentemente nella Rift Valley. I Kalenjin vivono nell'altopiano della provincia occidentale. I Borana, sono pastori, come i Rendile, e vivono nell'estremo Nord del Kenya in regioni secche e desertiche. Embu, Meru e Luia sono originari dell'altopiano centrale. I Kisii sono prevalentemente della provincia occidentale. Sulla costa, oltre ai somali, a gruppi d'origine arabo-indiana, ci sono molti Kikuyu. Naturalmente queste genti si sono mischiate in tutto il paese, hanno mutato le loro attività economiche, spesso passando dalla pastorizia all'agricoltura e all'industria. A Nairobi il mixer è al più alto grado ed è per questo che gli scontri più gravi ci sono stati negli slum che ospitano l'immigrazione dalle campagne di tutto il paese e nei cantieri edili dove gli operai di tutte le etnie lavorano insieme tutti i giorni.