22 gennaio 2012

Ricordate la Libia?

Seconda parte.

Il Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi ha visitato Tripoli il 19 gennaio 2012 e ha intrattenuto costruttivi contatti con i rappresentanti del National Transitional Council (NTC) per ristabilire un quadro politico positivo tra Italia e Libia. Ci sono da ripristinare gli accordi sui temi del petrolio e del gas, l’auspicabile ingresso della piccola e media industria italiana nel territorio, la collaborazione sul problema dell’emigrazione e della sicurezza. L’Italia ha promesso al nuovo governo libico di fornire forze militari in grado di formare la nuova Polizia del Paese.

L’Italia dovrà fare presto visto che oggi, 22 gennaio 2012, diverse centinaia di combattenti libici armati hanno piazzato bombe a mano sulle porte del quartier generale del National Transitional Council di Bengasi, hanno fatto irruzione nell’edificio devastandolo, hanno costretto il leader Mustafa Abdul Jalil a trattare e ancora adesso, mentre questo post sta per essere pubblicato, circa 50 agenti in borghese stanno cercando di convincere gli ex-combattenti a tornare a casa.

I libici, a più di tre mesi dalla fine della guerra civile, si sentono sempre più frustrati per la mancanza di riforme politiche e di una chiara svolta nella gestione del Paese. La protesta sta montando in tutto il Paese. Migliaia di manifesti affissi nelle strade di ogni città invitano i libici a consegnare le armi, ma gli ordini non vengono rispettati e 125.000 miliziani risultano ancora armati. A dicembre scorso il governo ha imposto lo smantellamento dei check point delle milizie a Tripoli, ma ai primi di gennaio centinaia di uomini armati sono ricomparsi a Tripoli con la scusa che nella città erano stati avvistati seguaci di Gheddafi.

Nelle scuole è ripresa l’attività scolastica con i nuovi libri di testo che esaltano l’azione rivoluzionaria che ha condotto alla caduta di Gheddafi, ma la realtà è che nel Paese agiscono quasi 100 milizie armate che fanno riferimento a trenta diverse tribù e a distinti gruppi politici e religiosi. Il processo di transizione per una nuova Libia versa in un grave clima di incertezza. Anche nei giorni scorsi gruppi di manifestanti hanno mostrato la loro insoddisfazione, in particolare aggredendo l’Ufficiale del NTC Abdel Hafiz Ghoga.

I dimostranti chiedono leggi elettorali più trasparenti e poteri per i combattenti della guerra civile. La divisione delle forze politiche in Libia rispecchia il decentramento e la sostanziale autonomia che avevano le milizie combattenti nella lotta contro il regime di Gheddafi. Mentre il governo cerca di smilitarizzare il Paese le milizie si danno un’organizzazione istituzionale indipendente e continuano ad arrestare, detenere sospetti, acquistare armi, controllare intere regioni. Le milizie non intendono rinunciare al loro potere e accusano il NTC di voler ripristinare il vecchio potere senza cambiamenti di rilievo.

Oltre al conflitto tra milizie armate e governo di transizione si acuiscono i contrasti e i sospetti tra le varie milizie che cercano di assumere ruoli politici centrali nella costruzione della nuova Libia. Le milizie di Zintan, Misurata, Bengasi controllano le rispettive città, gli aeroporti, le strade principali e non esistono forme di collaborazione tra loro o con gli altri gruppi armati.

In effetti la Libia non è mai stata una nazione se non nell’occupazione coloniale italiana che l’aveva unificata e nel regime di Gheddafi che aveva impostato un modello politico di rentier state. Un rentier state si basa su un patto sociale tra governante e popolo governato per cui lo stato ridistribuisce parte delle sue entrate statali al popolo e il popolo, in cambio, non reclama per sé poteri e diritti se non quelli che lo stato ha deciso di elargire. La distribuzione di sussidi e beni primari finisce per corrompere la popolazione che risulta poco incentivata a chiedere una qualche forma di partecipazione o di democrazia nella gestione del potere.
Alla gente viena assegnata una casa, un salario minimo per una prestazione professionale ridotta, beni e servizi gratuiti come assistenza sanitaria ed educazione scolastica e la totale esenzione dalle tasse. In cambio, al popolo si chiede di astenersi da qualsiasi forma di rappresentatività nella gestione concreta dello stato. Al massimo si concedono organismi consultivi di territorio mentre il potere è fortemente centralizzato. Il rentier state è il contrario della moderna società liberale che è basata sul principio “no taxation without representation”.

Il rentier state è tipico di una oil-economy come la Libia in quanto l’intera economia dello stato è basata sulle provvigioni che derivano dalla vendita del petrolio e il fabbisogno dello stato viene tratto direttamente dalla vendita della preziosa materia prima.

E’ prevedibile che anche il nuovo regime segua la medesima impostazione. Difficile pensare, per questa ragione, che si possa avviare un reale processo di democratizzazione. Inoltre l’influenza che in questi mesi stanno assumendo i Paesi del Golfo sul processo libico, in particolare il Quatar, fanno sospettare che sia difficile instaurare un governo democratico in Libia.
Ancora, quello che preoccupa il governo di transizione è la spinta divisiva delle milizie.

I libici, inoltre, non hanno mai sentito una sola identità nazionale.
Il Fezzan rivendica autonomia e la guerra ha acuito la tradizionale rivalità tra Tripolitania e Cirenaica. All'identità nazionale si sovrappongono le identità regionali e a queste si aggiungono quelle tribali. L’affiliazione tribale riguarda al massimo il 20% della popolazione su base nazionale, ma è preponderante e decisiva nelle zone interne del Paese.

Si può ipotizzare una Libia controllata in ogni regione e in ogni città da una milizia o da un gruppo tribale diverso? Si stanno affacciando nel panorama politico i nazionalisti cirenaici, i gruppi tripolini, le società berbere, i tuareg del deserto, i Senussiti, i partiti finanziati da nazioni straniere, gli ex-sostenitori di Gheddafi in esilio all'estero.
L’assassinio di Abdel Younis nel luglio 2011 e la bruciante ascesa politica e militare di Abdel Hakim Belhaj, veterano della guerra russo-afgana e capo islamico radicale, lasciano pensare che gli integralisti islamici siano pronti ad assumere un ruolo di rilievo nel futuro della Libia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA Paolo Giunta La Spada

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Post interessante. Gheddafi aveva creato uno stato laico come Saddam Husein in Irak. L'Occidente ha distrutto l'uno e l'altro e ora c'è l'incognita del futuro assetto di questi due Paesi. In Irak c'è costante instabilità e continui attentati, in Libia ci si potrebbe arrivare molto presto

Russel ha detto...

Grazie Paolo. Volevo andare in Libia l'anno scorso, poi è scoppiato il casino. Mi chiedo quando si potrà riprendere a viaggiare enza beccare una mina e senza incontrare una milizia che ti scambia per una spia e ti spara.

paologls ha detto...

Il mondo mediterraneo e arabo sta cambiando e l'Italia, per tradizione storico-politica e posizione geografica, potrebbe giocare un ruolo importante nella transizione.
Per il nostro Paese ci sono in gioco questioni vitali come l'approvigionamento di petrolio e gas e il tema della sicurezza e della regolamentazione dei flussi migratori. Il rischio, in Libia come in Tunisia, Algeria, Egitto e Siria, è che alle richieste di maggiore democrazia si risponda con regimi militari influenzati da un ritorno di nazionalismo e dall'islamismo radicale più o meno mascherato.